
Traduttore: C. Rucellai
Barbara Pym (1913-1980) è una scrittrice che occupa un posto di grande rilievo nella narrativa inglese del ‘900. Inevitabilmente snobbata da quella parte di lettori protesi verso il nuovo e verso tinte forti, ha invece una folla sommersa di estimatori fra chi non ha cessato di prediligere i gusti più delicati, appena leggermente speziati. Fruttero e Lucentini, la rimpianta coppia di scrittori brillanti a quattro mani, l’avevano scoperta e sdoganata in Italia 30 anni fa, dicendosi entusiasti di questa autrice capace di convertire in una modernità sommessa la grande, profonda tradizione della narrativa britannica.
Le cose, nei libri della Pym, accadono senza baccano, per piccoli passi intermittenti. Finissima osservatrice psicologica, la scrittrice è rispettosamente spietata nel descrivere desideri taciuti, vaghe insoddisfazioni, egoismi spiccioli, trame sommesse, controllate paturnie affettive, pedanti atmosfere parrocchiali.
Qui la video recensione del suo “Un sacco di benedizioni”