
Autore: Giovanni Montanaro
Casa Editrice: Feltrinelli editore
Genere: Romanzo
Pagine: 161
Prezzo: 15.00
Pazienza e libertà. Sono queste le parole chiave che permeano, come l’acqua del Po, le pagine di questo libro. La pazienza di Pietro, che vive, in una baracca piena zeppa di oggetti, di cose che lo circondano e che cercano di rallentarne il tempo, già lento. La pazienza del fiume, che incede inesorabile e ogni giorno indica la strada, indica che quanto passato ieri non tornerà domani. La pazienza di Tommaso, e della sua idea fissa di raggiungere una persona cara a tutti i costi, e quella della postina, che non rinuncia a un amore burbero e un po’ selvaggio.
E la libertà. Quella sottratta, da un paio di aguzzini che creano una baby gang di ragazzi stranieri e li costringono a compiere furti, a vivere in condizioni non umane. La libertà di Pietro, che non vive, ma “c’è”, in quel deposito, e la confonde con la solitudine. La libertà come amore, perché proprio come il fiume insegna, nessuno puo’ essere trattenuto, nemmeno se il sentimento che ci sta dietro è puro e genuino. Né Nina, né Tommaso, Pietro non trattiene nessuno, le cose che lo circondano prima o poi gli saranno tolte dal Castroni, e persino l’unico pesce che prende durante il racconto finisce nuovamente nel fiume. In fondo, Pietro ama. Amare le persone fino a concedere loro la libertà è qualcosa di cui sono capaci solo i piu’ semplici.
E Pietro è semplice. Custode di un deposito giudiziario, gli viene sconvolta l’estate quando si ritrova un bambino in casa. Un bambino non italiano, che dovrà nascondere dalla polizia, a cui dovrà insegnare a parlare, a stare al mondo meglio di quanto abbia imparato (fin troppo) alla sua età. Con tutti i limiti di un uomo che sta diventando anziano e che ha passato una vita intera sulle rive del Po.
Tommaso sposta le riviste. Pietro non collabora, sembra assorto. Il ragazzino esce dalla stanza, afferra da solo il materasso, ci finisce sotto. “Pietro!”, chiede aiuto. “Stai attento, porcomondo!”. (p. 46)
All’inizio, onestamente, di pazienza si deve armare anche il lettore. Frasi corte, raramente oltre la riga, alle quali non si riesce a dare un ritmo, e non si capisce dove Montanaro voglia andare a parare. Creare suspence? Forse, ma no, l’ambiente non ha nulla di eccitante: una marea di oggetti inanimati, un fiume, un protagonista rozzo e di poche parole.
Ha bisogno di un Lexotan. Afferra la Berta, si allontana dalla tettoia. Lo fa ogni sera. Ogni sera decide se guardare dalla parte del fiume o da quella dell’autostrada. Non è la stessa cosa. Da li sotto il fiume non si vede. Da li si vede l’argine che sale, che difende. Il Po lo si immagina. (p. 15)
Poi pian piano, con l’incedere della storia, lo stile non cambia, le frasi restano corte e la storia apparentemente spezzettata (34 capitoli per 161 pagine!) ma ci si fa l’orecchio, si riesce ad andare oltre, e si sente la melodia che stava dietro a quel che prima sembrava solo una serie di colpi. La visione passa dalle piccole onde ripetute al fiume che sta dietro, e ci si lascia commuovere.
“Mamma Tommaso bella. Tommaso poco ricordo”. Pietro, con dolcezza, gli appoggia una mano sulla testa. “Mamma papà shelo”, dice il ragazzino, guardando in alto. E questa volta no, non gli dice che la parola corretta è “cielo”. (p.138)
E li’ ci si accorge che i fatti della vita sono come quelle frasi; si susseguono uno dietro l’altro, senza sosta, senza poter decidere che Nina torni dall’America o che il Ballestra faccia pace con Pietro, ma in fondo è quanto di bello la vita stessa offre, sempre e subito una nuova frase da leggere, un nuovo oggetto da stipare, una nuova avventura. Anche a un semplice malato di Opera Lirica che vive sulle sponde del Po. Si smette di storcere il naso, e si ringrazia Montanaro e la sua fiaba contemporanea, forse un po’ surreale ma sapientemente colma di semplicità.
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