Autore: Galateria Daria
Data di pubbl.: 2012
Casa Editrice: Sellerio editore
Genere: Critica letteraria
Pagine: 302
Prezzo: 14
La biografia è un genere letterario che descrive i vari momenti salienti della vita di una sola persona; di solito funziona se l’individuo in questione ha trascorso un’esistenza avvincente, se gli sono successe molte cose, se ha rivoluzionato in qualche modo la società in cui era immerso e soprattutto se era – o è − un personaggio celebre. Cosa succede però se s’invertono le parti, e se cioè protagonista diventa un solo evento vissuto da tante persone diverse? Forse è una domanda che l’autrice del libro in questione si è posta prima di iniziare la sua opera, e a cui ha risposto raccogliendo informazioni su di una quarantina di scrittori celebri, dal settecento a oggi, che si sono ritrovati, per un motivo o per un altro, in prigione.
Da Voltaire, chiuso nelle celle della Bastiglia per aver ironizzato in versi sugli amori del Reggente con la propria figlia, a Sapienza, stretta quasi per scelta tra le pareti grigie di Rebibbia, Daria Galateria ci guida tra le storie di scrittori costretti alla cattività, e alle loro strategie di fuga, fisica o immaginaria, per reagire. Leggiamo quindi dell’ingegnoso Giacomo Casanova alle prese con un catenaccio da limare per riuscire a bucare il pavimento della sua stanza ai Piombi, ma anche dell’incredibile stimolo alla fantasia che provoca l’obbligo alla riflessione: Wodehouse, internato nel campo di Tost, scrive tre libri e vari racconti, Guareschi improvvisa “giornali parlati” con gli IMI, gli Internati Militari Italiani, nel lager di Czestochowa; e ancora, Fallada, in prigione una prima volta perché accusato di cospirazione contro la persona del Führer, e poi recidivo per aver sparato alla moglie, scrive Il bevitore e fiabe per bambini, mentre una delle fautrici della Comune di Parigi, Louise Michel, deportata in Nuova Caledonia, scoperta la razza in via di estinzione dei canachi, decide di terminare lì i suoi giorni dopo aver scontato la pena, apprendendo gli usi e i costumi degli antropofagi. Le cause della detenzione variano cronologicamente: c’è chi complotta per la liberazione della patria dall’oppressione di uno stato corrotto (Dostoevskij, Pellico, Settembrini), chi è gay (Wilde), chi ebreo (Hessel), chi scrive contro l’invasione straniera (Desnos) e chi invece collabora (Brasillach, Pound), e infine chi spara alla moglie (Fallada, ma anche Verlaine, Burroughs, Mailer). C’è anche chi in cella ci finisce per sbaglio, come Campana, scambiato tre volte per un tedesco, o come Stevenson, dall’aspetto troppo vagabondo. In molti riconoscono l’assoluta libertà del cervello dalle solite preoccupazioni quotidiane, e c’è chi ne fa una critica e una minaccia verso la società che lo ha rinchiuso
“Avete pensato di aver messo a segno un colpo”, dice Sade, “ Costringendomi a un’atroce astinenza dal peccato della carne. Ebbene, vi siete sbagliati: mi avete acceso la testa, mi avete spinto a creare fantasmi che dovrò realizzare”.
Sebbene la vita in carcere sia dura, bisogna pur passare in qualche modo il tempo: Wilde istruisce i carcerieri, e aiuta uno di loro a vincere il pianoforte a coda di un concorso a premi; Diderot comincia a lavorare, meglio che può, all’Encyclopédie, dedicandola a un ministro ex-capo della polizia, per uscire prima. Chi non ha creduto al disarmante ottimismo di Roberto Benigni ne La vita è bella si legga il racconto su Desnos, che definiva “footing” le sfiancanti, interminabili marce di spostamento, e che risollevava l’animo dei compagni di Auschwitz leggendo loro le linee della mano, e scopra il potere dell’ironia come arma contro la noia nella corrosiva frase di Sofri “Ancora le dieci e cinque! Non passano mai questi vent’anni”.
Vera e propria letteratura d’evasione – permettetemi il gioco di parole – quest’incredibile raccolta di esperienze sulla vita in carcere vissuta dagli scrittori, ci regala una scarica di energia positiva, di fiducia nella capacità dell’animo umano di resistere alle difficoltà e di rispondere con la libertà dell’arte.