Salone del libro – Della Valle e Patota: un manuale per difendersi dagli errori della lingua italiana

Al Salone del Libro abbiamo incontrato due veri ‘big’ della lingua italiana, i quali, probabilmente, se leggessero l’incipit di questo articolo inorridirebbero. Con il loro Piuttosto che (Sperling & Kupfer), Valeria Della Valle, direttrice del dizionario Treccani, e Giuseppe Patota, direttore del dizionario Garzanti, hanno stilato un elenco degli errori più comuni della lingua italiana. L’opera prosegue il percorso iniziato con Ciliegie o ciliege? (Sperling & Kupfer, 2012).

Quali sono gli errori più comuni tra quelli selezionati nel vostro ultimo libro?

Principalmente un grande disordine nell’uso di accenti e apostrofi, spesso perché non se ne distingue la funzione. Il più ricorrente è pò al posto di po’. Si tratta di errori comuni anche tra i giornalisti e i professori, in generale sanzioniamo solo chi utilizza le parole per lavoro.

Avete sottolineato l’errore commesso da Roberto Saviano su Twitter, che aveva scritto qual’è anziché qual è. Lui non aveva ammesso l’errore appellandosi ad autori del passato, è giusto richiamare utilizzi desueti della lingua?

Ai nostri nonni, quando andavano a scuola, insegnavano che le forme con la h del verbo avere non esistevano, ma al loro posto c’erano le lettere accentate. Ma non ha senso appellarsi al passato, se c’è una condivisione generale di una regola è meglio attenersi a essa.

Ci sono errori che possono diventare regole?

Sicuramente il pò rischia in futuro di essere accettato come forma corretta, visto il largo utilizzo che se ne fa. Ma comunque parliamo di convenzioni grafiche che al parlante non interessano, come nel caso di ciliegie e ciliege, che adesso sono entrambi accettati.

Però alcuni errori sono in realtà parte dello stile.

Certo, ma a volte per darsi un tono si commettono errori inutili, come ad esempio l’utilizzo di piuttosto che al posto di o. Non siamo puristi, ma contestiamo anche l’uso degli anglicismi, a parte linguaggi tecnici, nella lingua italiana ci sono tutte le parole per descrivere ogni situazione. Perché parlare di governance quando possiamo parlare di governo?

L’inglese non è utile per farsi comprendere anche all’estero?

Naturalmente, ma puntando troppo sulle lingue straniere, come fanno i corsi di laurea in inglese, ad esempio, rischiamo di dimenticarci l’italiano. I due percorsi dovrebbero essere paralleli, anche perché l’italiano è la quinta lingua più studiata al mondo, non dobbiamo disperdere questo patrimonio. Gli stranieri vengono da noi e imparano l’italiano di base, andrà a finire che saranno loro a salvare la nostra lingua.

Giuseppe Patota anticipa che presto avvierà una piattaforma online dedicata all’italiano per stranieri, con diversi materiali didattici, promossa da Rai Educational, Ministero dell’Interno e MIUR.

Ma tutta questa popolarità dell’italiano ha portato a italianismi nelle lingue straniere?

Moltissimi! Soprattutto nella gastronomia, nell’arte e nell’abbigliamento. Addirittura Starbucks ha fuso due parole creando il frappuccino, una parola che poi è entrata nel nostro linguaggio comune.

Tornando al libro, ci sono errori che non avete ancora selezionato?

Nel libro abbiamo messo quelli che per noi sono più gravi, ma nel libro precedente ce ne sono molti di più.

Come facciamo a difenderci?

Sicuramente serve precisione, la trascuratezza è un grosso problema. I nostri libri sono dei “bignami” della grammatica, che aiutano a consultare velocemente gli errori più comuni. A volte il limite è proprio il tempo che abbiamo a disposizione per ripassare.

Tra i cosiddetti “portatori sani di errori grammaticali” c’è qualcuno che si è fatto vivo dopo il vostro libro?

Naturalmente: le due ex ministre Michela Vittoria Brambilla e Maria Stella Gelmini.

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