
Autore: Stefano Benni
Casa Editrice: Feltrinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 106
Prezzo: 12,00
Ancora una volta Stefano Benni riesce a incantare. Arricchisce i suoi romanzi di nomi incredibili, di persone in grado ognuna di racchiudere a sua volta una storia, e il lettore è rapito. Pantera non si sottrae alla regola.
Sono due i racconti che si trovano in questo libro, due le protagoniste femminili, Pantera e Aixi, due i protagonisti maschili sullo sfondo, il Mare e il Biliardo. Ma le analogie finiscono qui; quasi come nelle Songs di Blake, Benni contrappone queste due storie in maniera magistrale. Tanto è ombrosa, misteriosa e solitaria Pantera, la canzone dell’esperienza, del passato vissuto e avvolto da nebbia, tanto è radiosa, semplice e quasi ingenua Aixi, la canzone dell’innocenza. Si presentano al lettore e consumano la loro storia in una manciata di pagine a testa, al punto che a prima vista l’opera sembra un libriccino con poche pretese. In realtà è denso, fresco, con una scrittura veloce e con un susseguirsi di situazioni e descrizioni di personaggi inverosimili, al punto che lo si legge in un istante, ma resta addosso per giorni.
Pantera profuma di poema epico cavalleresco, con un’antieroina che sfida a turno i più forti giocatori di Biliardo, e con l’intervento addirittura di Borges, e scoprirete da soli come. Aixi è Il vecchio e il mare (pure citato) visto all’inizio della vita umana, invece che alla fine; non il riscatto di un uomo in là con gli anni, ma la determinazione di una ragazza pronta a tutto per salvare una persona cara. Il filo che lega le due protagoniste è forse proprio questo: determinazione e forza di volontà, dal gioco alla vita e dalla vita al gioco. Se nel turbinio di nomi e situazioni che ci circonda si riesce a restar fissi sul proprio obiettivo, si diventa eroi.
Il tutto è condito dalle illustrazioni di Luca Ralli, che sulle prime possono far storcere il naso (personalmente sono abituato a immaginare i protagonisti dei libri), ma in fondo si incastrano perfettamente tra le pagine del racconto, e rendono benissimo le parole e le descrizioni dell’autore.
A volte invece l’Accademia mi sembrava un luogo allegro, un rifugio di filosofi pazzi. Un pianeta dove era sempre notte, dove non si udivano i rumore del traffico cittadino,ma solo il rotolare delle biglie, lo schiocco delle stecche i passi fruscianti dei giocatori. Qui non si aspettava la Ragione ma la Sorte, non il Perché ma il Chissà (p. 18).