Cominciamo questo articolo ascoltando la canzone di Ascanio Celestini “L’amore stupisce” (link) che è la colonna sonora del film di Antonietta De Lillo La pazza della porta accanto, presentato al trentunesimo Torino Film Festival, in quanto crediamo che rispecchi molto i pensieri di Alda Merini.
Il film è un documentario prodotto della Marechiarofilm, società da fondata dalla regista con l’intento di favorire l’incontro e lo scambio tra generazioni diverse, tra cinema e rete.
Questo film è un’intervista che fa parlare la poetessa, la quale dichiara che sarà inutile cercare di capirla in quanto i poeti sono inconoscibili, strani; la stranezza della poetessa si rivela già quando si entra in contatto con lei per fissare un appuntamento.
La regista racconta che dopo averla chiamata più volte e aver ricevuto dei rifiuti perché la poetessa doveva fare la spesa, non era il giorno giusto o scuse del genere, lei e la troupe hanno deciso di partire da Napoli per Milano nella speranza di poterla incontrare. Le riprese sono durate due giorni e in quei due giorni nessuno ha toccato nulla in quella casa perfetta nel suo disordine. “Sono stati due giorni di lavoro intensi, da otto, nove ore ciascuno”, racconta Antonietta, “e quando ci preparammo ad andar via Alda ci guardò e ci chiese: ‘Ma come già andate via e mi lasciate sola?'”.
Alda Merini è sguardi, parole, mani, corpo e anima. Riteneva che lo spirito fosse qualcosa di fondamentale nella vita, infatti nell’intervista dichiara che avrebbe voluto essere una curatrice di anime, una psicoterapeuta e invece risulta essere una persona normale, La pazza della porta accanto.
La poetessa racconta tante cose quasi come se volesse mostrarsi al mondo e spiegare ciò che realmente è stata o avrebbe voluto essere. Ci sono alcuni temi che tornano costantemente nei suoi discorsi, quasi ossessioni.
Riprende spesso il tema della fanciullezza, lei ama i giovani che spesso la vanno a trovare e fanno ingelosire le fidanzate che non capiscono che “Alda Merini è una povera vecchia”, ci dice lei stessa, e che queste anime sono attirate dalla sua forza spirituale. Lei sostiene, inoltre, che nella vita sia fondamentale conservare dei segreti, esattamente come fanno i bambini, non comprendere questi ultimi, peraltro, è per lei un enorme reato. Il figlio, tuttavia, va lasciato andare, occorre considerarlo come un estraneo, non come qualcosa che appartiene alla madre.
I figli, i bambini, provocano nella poetessa un dolore immenso, ci dice che quando le hanno portato via i bambini lei si è sentita morire e “all’epoca bastava niente per mandare in manicomio qualcuno e levarselo di torno”. Il terribile distacco da loro, una perdita che è stata per lei come una “lobotomizzazione”. Ciò che ferisce Alda è l’amore, quello che provava per i suoi figli, per i suoi tre mariti, quell’amore che lei ha tanto pagato, e così lei spiega il titolo di una sua raccolta “Ballate non pagate”, perché, ad un certo punto della sua vita, è arrivato un amore che chiedeva di essere pagato e che non avrebbe dovuto esserlo: “Di quel fosco periodo ricordo soltanto il castigo immediato che veniva dopo un approccio amoroso in limite sospirato e diserto nel medesimo tempo, quella speranza vana di avvicinarsi all’acqua e quel mio porgere al vento ogni commiato, ogni passo, ogni speranza languente.” (Alda Merini, Ballate non pagate, Einaudi, Torino, 1995, p.5)
Sempre riflettendo sull’amore Alda dichiara: “L’amore è il motore del mondo ma oggi se ne parla troppo. La donna, ad esempio, non può essere vista come solo amore, lei è mente, è ispiratrice d’amore. Tuttavia ho sempre scritto poesie d’amore perché mi vengono più facili, ma scrivevo solo quando l’amore mancava, quando soffrivo, quando qualcuno trova un tesoro non ne parla. L’amore, tuttavia, è una debolezza”.
La poetessa parla di un momento molto doloroso della sua vita: il suo periodo all’interno del manicomio, di cui racconta in Terra Santa. Lei considera l’internamento come la nascita di un bambino: un grande trauma di cui poi non si ha ricordo. La nascita è un evento terribile, così il delirio è un buco nero nella memoria e durante l’elettroshock – che lei aveva subito durante la permanenza nell’ospedale psichiatrico – si aveva la sensazione di morire. È un dolore senza nome, immotivato, un luogo in cui non si piange ma ci si abbandona al delirio.
Con gli occhi che si illuminano, Alda parla della poesia: “fa una cernita, sceglie ciò che vale la pena di essere ricordato e cantato e ciò che va dimenticato”. L’ispirazione è un gioco, un dono, come una solfatara che erutta all’improvviso. Il fil rouge della sua poesia è la sofferenza verso la vita, secondo lei una persona felice non ha nulla di cui scrivere, infatti quando aveva accanto un uomo era troppo occupata a accudire quest’ultimo piuttosto che occuparsi di poesia.
Il modo più bello con cui Alda poteva concludere questa chiacchierata è che nella vita ci sono letture importanti, momenti intellettuali che valgono più di qualunque orgasmo fisico.
Per leggere Alda Merini consigliamo l’opera di Silvia Ronchi, Ci sono notti che non accadono mai. Canto a fumetti per Alda Merini (Beccogiallo).