Autore: Carlo Cassola
Casa Editrice: Mondadori
Genere: letteratura italiana
Pagine: 219
Prezzo: 13 €
Questo è uno di quei romanzi che si scovano. O sai che esiste oppure il fato non ti aiuterà a trovarlo. Il motivo è semplice, Carlo Cassola è stato un autore volutamente dimenticato perché scomodo, perché poco radical-chic.
Stesso io non l’avrei mai conosciuto se non avessi letto il libro di Nicola Vacca, Sguardi dal novecento. Un’antologia coraggiosa, pubblicata da Galaad e in cui ho trovato un saggio su Cassola, che andrebbe proposto nelle scuole. Proprio la pubblica istruzione avrebbe il compito di incuriosire, ma sappiamo bene come funzionano le cose. È unitile sprecare parole sull’argomento.
E così ringrazio tanto Nicola Vacca per questa scoperta e anche mia madre che, notando questo romanzo sul mio comodino, una versione ingiallita datata 1980 con la prefazione di Geno Pampaloni, mi ha svelato che La ragazza di Bube è stato per tanto tempo il suo libro preferito, amato a sua volta dal padre, ossia mio nonno, che lo leggeva quando la mattina, per motivi di lavoro, percorreva la tratta Ventimiglia-Montecarlo. Lui era infatti un fiero-immigrato-calabrese-muratore-socialista.
Ma io tutte queste cose le ho scoperte a 35 anni. Potere della letteratura!
La ragazza di Bube esce nel 1960. Lancia Cassola tra i big della letteratura italiana, vince perfino il Premio Strega. La storia è ambientata in Toscana nell’imminente dopoguerra. Ancora il Comitato di Liberazione Nazionale lotta oscuramente contro il Governo provvisorio anglo-americano. Ancora partigiani e repubblichini regolano in strada i conti lasciati in sospeso. Entrambe le fazioni attendono l’amnistia. I comunisti vogliono la rivoluzione, i democristiani perdonano le colpe di tutti e si preparano a conquistare il potere attraverso il proselitismo.
In questo scenario si staglia la figura di Mara, appena sedicenne ma abbastanza grande per prendere marito. È testarda e maliziosa, capricciosa ma anche libera; e proprio liberamente sceglierà la via del sacrificio.
Al suo fianco c’è Bube, anche lui giovane, ex partigiano, compagno fedele del fratello di Mara, Sante, ucciso dai tedeschi mentre combatteva tra i monti. Tra di loro è amore a prima vista, ma il loro sentimento è anche una sfida. Bube porta con sé il rancore della gioventù perduta. È esponente di un’ideologia della rivendicazione violenta. È figlio di una generazione che silenziosamente subì il fascismo e poi l’invasione anglo-americana, spingendo i propri giovani nella fossa.
A Bube infatti gli venne affibbiato il soprannome di Vendicatore. Viene temuto per il suo sangue freddo. Basta che il popolo e i suoi compagni di partito lo incitino ed ecco che lui si trasforma in punitore di ex fascisti. Ed è per questo motivo che si macchierà dell’omicidio del figlio di un maresciallo dei Carabinieri. Da questo momento in poi inizierà il suo calvario e quello di Mara.
La sua latitanza dura mesi ma terminerà sul confine italo-francese. Bube sarà arrestato e condannato a quattordici anni di carcere. Non verrà salvato né dall’amnistia, né dai suoi compagni comunisti, cui ha promesso lealtà. Mara solo lo aiuterà con la sua paziente attesa, con le sue continue visite presso il carcere di Piacenza, dove Bube sconta la pena. In questa storia trionfano l’amore e il senso del sacrificio di una donna.
Per farla breve, Cassola non esalta i comunisti e non fa trionfare quel senso di giustizia che da sempre hanno rivendicato. Critica sotto sotto le finalità dei dirigenti della Resistenza e genera un romanzo in cui mette al centro la storia, i fatti e i sentimenti, dando ai vinti e ai vincitori pari dignità. Ma lo fa nel 1960, quindici anni dopo la fine della guerra, in un periodo in cui di certe cose non si doveva parlare.
Ma c’è anche tanta buona letteratura in questo romanzo. C’è una scrittura nuova in cui i tabù vengono messi da parte e l’intimità diventa scudo contro le barbarie. C’è Mara con la sua irruenza, che rappresenta simbolicamente la verità, il sacrificio e l’amore incondizionato. Lei infatti vuole sposare Bube, anche se le costerà un’attesa di quattordici anni.
Poi c’è Bube di animo mite ma indotto alla violenza. È attraverso lui che Cassola critica la faziosità delle ideologie che istigano alla vendetta. Vendetta da cui però i mandanti si tengono lontani. I deboli restano infatti gli esecutori, coloro che si sporcano le mani e i primi a pagarne le conseguenze. Bube è proprio questo: un ex partigiano dalle buone intenzioni, pronto a ricostruire l’Italia, pronto a servire il partito per tutta la vita, ma educato alla vendetta. La sua innocenza, dunque, è stata violentata dall’indifferenza.
È Mara l’unica che capisce il suo dramma. Proprio lei che per la mentalità dell’epoca sarebbe dovuta rimanere ai margini. È attraverso lei che Cassola ha riscattato una generazione condotta al macello da falsi profeti.