I frutti del vento – Tracy Chevalier

Titolo: I frutti del vento
Autore: Tracy Chevalier
Data di pubbl.: 2016
Casa Editrice: Neri Pozza
Genere: Narrativa
Traduttore: Massimo Ortelio
Pagine: 320
Prezzo: 17,00 euro

James e Sadie Goodenough hanno dovuto abbandonare il Connecticut e trasferirsi in Ohio a causa del cattivo rapporto che intercorreva tra Sadie e la famiglia Goodenough. Fin da subito non mancano i problemi: il paese che doveva portare fortuna a James e Sadie, che di “abbastanza buono” hanno soltanto il cognome, porterà solo malcontento e malattia. Infatti, nella Palude Nera non c’è nulla: la terrà è desolata, la malaria decima la famiglia, il rapporto tra James e Sadie è sempre più compromesso a causa della perdita dei figli, dell’alcolismo di Sadie, dell’amore sconfinato di James per i suoi alberi. La situazione degenera quando James Goodenough decide di piantare cinquantatré alberi di mele Golden, le più dolci e succose, con quell’irresistibile «sapore di ananas». Arriva John Chapman (personaggio realmente esistito), che armato di Bibbia, tanta pazienza e molte piantine da interrare, cercherà, invano, di essere d’aiuto alla famiglia Goodenough.

La guerra tra moglie e marito mette sempre più a dura prova la vita famigliare: l’odio fra i due coniugi si fa sempre più aspro, come quello degli stessi verso i propri figli. I cattivi sentimenti avranno la meglio e si scateneranno con una forza inaudita, che cambierà le sorti di tutti loro per sempre, soprattutto quelle di Robert e Martha:

««Ora vattene» dissi. «Vattene da questa palude. Vai nella prateria dove non ci sono alberi». Lui sollevò lo sguardo verso Martha e quel piedino che dondolava nel vuoto, sopra di noi.
«Non pensare a lei» dissi, «o sei fregato».
Il piedino si fermò.
«Pensa a te, pensa a salvarti» dissi. «Vai via di qui. Vattene!».
Robert se ne andò. E io anche.»

In questo preciso istante, lette le parole di Sadie, il cui nome ricorda sadismo e tristezza (quest’ultima più per chi la incontra che per se stessa) si vorrebbe chiudere il libro: troppo per chiunque. Perfino i cattivi delle storie più spietate rabbrividirebbero di fronte alla pochezza, alla crudeltà, alla scelleratezza dei genitori Goodenough: nessuna via possibile per una riconciliazione, figuriamoci per la redenzione… Il loro è il buio della Palude Nera: la stessa bruttura e la stessa insensata fertilità, che fa nascere dieci figli a genitori snaturati e  crescere oltre cinquanta alberi in un luogo dimenticato da Dio; lo stesso cattivo trattamento per le proprie creature: Martha, continuamente insultata, picchiata e abusata da parte dei suoi famigliari, e le piccole e tenere piantine, vessate dalle intemperie.

Grazie a Dio gli antefatti finiscono e inizia la storia di Robert Goodenough, che fino a quell’autunno 1838 aveva vissuto nella Palude Nera in Ohio insieme alla sua famiglia. Dopo la fuga dalla Palude, ora è finalmente grande: Robert vive senza legami, fonti di disperazione fino ad allora, viaggia e lavora, ha imparato a leggere e a scrivere e quando ne ha la possibilità, circa una volta all’anno, spedisce delle lettere ai suoi fratelli. Poi l’incontro con William Lobb, botanico, appassionato studioso di piante e fiori, per il quale lavorerà, e con Molly, una giovane e procace prostituta, con la quale nascerà ben più di una semplice sequenza di rapporti.

Robert Goodenough, che ormai aveva perso le speranze di ricevere notizie dei suoi fratelli, avrà la fortuna di fare un incontro speciale che gli cambierà la vita per la seconda volta: incontrerà infatti la sorella Martha, ormai donna, venuta a cercarlo e speranzosa di non perderlo mai più, la quale gli regalerà, custoditi in un fazzoletto, dei piccoli semi di mela da poter piantare.

I frutti del vento parla di piante quasi come se fosse un trattato, con pagine e pagine dedicate alla cura degli alberi: bello, anche se forse un po’ troppo pesante. Il romanzo è costruito sapientemente su flashback, pause, lettere, notizie sul presente. La storia dei Goodenough in Ohio è raccontata, a paragrafi alterni, da un narratore esterno e la voce piena di rancore di Sadie. Convince poco un certo tipo di linguaggio, forse troppo western, che, insieme alle minuziose descrizioni delle piante, tra tabacco masticato, sputi sul pavimento, risse, e chi più ne ha più ne metta, rischia di annoiare. Molti i personaggi, (quasi) tutti accomunati dalla stessa caratteristica: la cattiveria. È proprio questo il punto per cui Tracy Chevalier non riesce a portarsi a casa più che la sufficienza: troppa spietatezza. Nel libro nessuno ha un cuore o dei sentimenti, e se per caso qualcuno dovesse averne o è una comparsa oppure è destinato a morire nel giro di una decina di pagine, tra malattie, fragilità di ogni tipo, incidenti, imprevisti. Infine c’è lui, Robert, il preferito di Sadie, con gli occhi penetranti e la paura nel cuore, così grande da renderlo il più fragile di tutti: lui, che scappa e torna, che vorrebbe ma non può, che preferisce stare solo per paura di essere, di nuovo, ferito.

Alla fine del libro si tira un sospiro di sollievo – è finita! – , ma si rimane anche con una speranza: che quei frutti del vento che Robert porta con sé facciano crescere arbusti sani e forti, con quella cosa che i Goodenough non hanno conosciuto né saputo dare: l’amore.

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