Titolo: Il ritratto di Dorian Gray (The Picture of Dorian Gray)
Autore: Oscar Wilde
Prima edizione: 1891
Edizione usata per la recensione: Cideb, 1993.
Il capolavoro del grande scrittore di origine irlandese Oscar Wilde non avrebbe certo bisogno di introduzioni, sia per la grande e intramontabile fama del suo autore, sia per le diverse trasposizioni cinematografiche, non sempre fedeli alla trama del libro, di questa grande opera letteraria. Eppure, da leggere per la prima volta o da rileggere, Il ritratto di Dorian Gray rimane una lettura di profondo fascino, che porta il lettore a interrogarsi sul potere del bene e del male, sul concetto di libero arbitrio e sulla sfida ai propri limiti.
Protagonista assurto quasi ad emblema della figura del dandy, votato all’ideale estetico e al perseguimento del piacere, il giovane Dorian Gray, lusingato dalle parole adulatorie del suo più anziano amico, Lord Henry Wotton, si innamora perdutamente della propria bellezza e giovinezza. Lord Henry lo persuade, infatti, che non vi sia al mondo bene più prezioso del vigore e rigoglio degli anni, insinuando, dentro di lui, il terrore di vederselo inesorabilmente sottratto dal tempo, e arriva al punto di regalargli un meraviglioso ritratto, commissionato al pittore Basil Hallward, che raffigura, nella loro rilucente sensualità, le perfette fattezze del giovin signore. Così, in un solo istante, di fronte alla propria immagine nel quadro, Dorian bisbiglia un desiderio, che fatalmente si trasforma in un patto col demonio, dalle terribili conseguenze: “If only the picture could grow old, and I stay young”. Mentre il giovane nel dipinto invecchierà, perdendo la propria giovinezza e stravolgendo il proprio aspetto al punto da divenire orripilante, il Dorian Gray in carne ed ossa conserverà intatta, negli anni, l’ammaliante bellezza della gioventù.
Il tema del patto col diavolo, di antica memoria, viene dunque rivisitato da Wilde e collegato agli ideali del Movimento Estetico, con cui il romanziere, drammaturgo e poeta era venuto ampiamente in contatto durante i suoi studi ad Oxford, in particolare attraverso la figura di Walter Pater. Non per brama di suprema conoscenza, come il Faust di Christopher Marlowe e di Goethe, bensì di eterna giovinezza, è venduta da Dorian la propria anima a Mefistofele. Quest’ultimo, tuttavia, non è un personaggio vero e proprio del romanzo e il patto non è siglato con penna e calamaio, né con contratti di sorta.
In maniera forse ancor più inquietante che nei suoi predecessori letterari, Oscar Wilde ci mostra la lenta discesa agli inferi del cuore di Dorian attraverso i suoi misfatti piccoli e grandi, la perdita graduale ma incessante dell’innocenza, la totale devozione al piacere fine a se stesso, rifuggendo da pietà, compassione e responsabilità. Il male emerge come forza negativa insita nell’animo umano. Dorian stesso, in una delle scene memorabili del romanzo, pronuncia la frase emblematica: “There’s heaven and hell in each of us”. Paradiso e inferno, quindi, sono dentro di noi, suggerisce il dandy ormai sull’orlo del proprio precipizio interiore. E Dorian – che ha corrotto il proprio spirito abusando in egoismo e indifferenza verso il prossimo (si pensi al suicidio della giovane attrice Sybil Vane) – sceglie di cedere al male. A nulla vale l’esortazione a pregare e a pentirsi da parte di un disperato Basil Hallward, che, nel celebre capitolo 13, dopo un’iniziale e sgomenta incredulità, finalmente comprende che l’orrendo dipinto, appena mostratogli da Dorian, è veramente lo stesso di molti anni prima, e che non si tratta di un’insolita metamorfosi della tela, come ingenuamente aveva ipotizzato. Magistralmente orchestrata, questa scena evidenzia tutto il talento narrativo di Wilde, in perfetto equilibrio fra il dire e il non dire, mostrando un Dorian decisamente gelido, in apparenza, ma di cui alcuni dettagli già rivelano la rabbia in potenza. L’immagine stessa nel dipinto risulta tanto più inquietante all’immaginazione dei lettori tanto meno viene descritta, perché l’autore preferisce soffermarsi sui pochi aspetti rimasti incorrotti e gradevoli alla vista, tralasciando volutamente di soffermarsi su ciò che è divenuto ributtante, e che pure è presente. L’orrendo aspetto della figura ritratta, ghignante e malefica, porta Basil a comprendere il peccato di cui si sono macchiati: l’idolatria, il rinnegamento di Dio. Dorian, che gli ha mostrato il ritratto per vendetta, pieno ormai di rancore verso lui e verso Lord Henry, per avergli fatto sacrificare tutto sull’altare della giovinezza, non ha però alcuna intenzione di pentirsi e, in un impeto di violenza, uccide Basil.
Pur rifuggendo da qualsiasi interpretazione moralistica, Oscar Wilde ci pone di fronte a un caso intricato e complesso riguardante l’animo umano e l’equilibrio fra il male e il bene, esplorato, nella medesima epoca, anche da Robert Louis Stevenson, nel celebre Dr Jeckyll e Mr Hyde, in cui il tema del doppio è ancora più evidente. Reazione al dogmatismo dell’epoca vittoriana, la figura del giovane che immola la propria anima al mito della giovinezza, con l’annessa riserva di potere e di fascino che questa sembra costituire, va in questo romanzo nella direzione di un ben celebre finale, che paradossalmente ristabilisce l’ordine, pur in chiave tragica.
Capolavoro letterario, analizzabile da più punti di vista, The Picture of Dorian Gray è ancora del tutto adatto alla sensibilità contemporanea, in cui, del resto, la vecchiaia è sovente vista come fonte di sofferenza se non di vera e propria vergogna, e non pochi ancora si sacrificano alla causa, persa in partenza, di un’eterna giovinezza.