
Autore: Sergej Roić
Data di pubbl.: 2022
Casa Editrice: Mimesis, narrativa meledoro
Genere: Romanzo distopico
Pagine: 157
Prezzo: € 14,00
Visionario, poetico e inquietante, così si può definire l’ultimo lavoro di Sergej Roić, scrittore svizzero di origini croate/jugoslave e giornalista del Corriere del Ticino di Lugano.
Siamo a Parigi nel 1971. La rivoluzione studentesca del 1968 ha vinto, gli studenti sono stati salvati dall’esercito che si è schierato al loro fianco, De Gaulle è morto e sul paese governa il generale Roche, uomo di sinistra che ha affidato la stesura della nuova costituzione ai suoi generali e ai filosofi, a uno in particolare: Eric Feríta. La Francia mantiene un’ambigua alleanza con l’Occidente che osserva, senza ostacolarlo, questo nuovo esperimento egualitario.
A Parigi tutto è nuovo e meraviglioso come lo sono i sogni e le speranze, la passione e le visioni di Georges Aubry e della sua compagna Irene. Visioni e sogni che trovano riscontro nella travolgente immaginazione del regista sovietico Martin Aleksandrovic Belogradski, la cui ultima pellicola ha suscitato l’entusiasmo dell’Occidente poiché:
“…parlava innegabilmente di creazione, dell’infinito orizzonte della mente umana e di una fede tenace che andava al di là di ogni possibile manifestazione della materia.” (Pag. 27)
Pertanto, in patria, Belogradski è considerato un dissidente e gli viene tolta la possibilità di girare nuovi film. Così, una volta arrivato a Cannes per il festival, decide di restare in Francia e girare lì la sua nuova pellicola. Il regista si trasferisce a Parigi, in un albergo che guarda Notre-Dame e un particolare ponte sulla Senna dove Georges e Irene – amanti delle sue opere – ne attirano l’attenzione e vengono scritturati come attori. Belogradski, il ‘principe russo’ come lo chiamano gli ammiratori, avvolge i due giovani nelle spire delle sue visioni:
“Testimoniare della propria fantasia/memoria, disse una volta, dovrebbe essere l’occupazione di ogni coscienza lungo l’arco di tutta la sua vita.” (Pag. 41)
Belogradski amerebbe incontrare il professor Feríta e Georges vorrebbe che accadesse, ma si rende conto che ciascuno dei suoi ‘eroi’ sta inseguendo un assoluto e il loro incontro è impossibile. Intanto Belogradski spinge Georges a raccontargli la sua vita, lo spinge a diventare un ‘cacciatore di ricordi’, a frugare nel passato remoto e in quello recente così che Georges possa trasformarsi, infine, in un occhio consapevole: la cinepresa che, durante le riprese, fornirà una visione soggettiva degli eventi narrati. In un gioco di specchi e rimandi, Georges e Belogradski si scambieranno i ruoli e il giovane non saprà più se la memoria narrata è la propria o quella del regista. Ma anche la bella e trascinante Irene troverà un ruolo nel film: una novella Giovanna d’Arco, Jeanne, “apparsa dal nulla”, capace di travolgere con la presenza e le parole, la folla durante una manifestazione. Un suggerimento al regista che Georges fa credere venga dal Professor Feríta. Un suggerimento che piace così tanto ai sovietici da aprire le porte a una collaborazione fra URSS e nuova Francia con esiti che si riveleranno nefasti.
Roić è un grande amante non solo della letteratura e della parola scritta che usa con grande maestria e delicatezza, ma del linguaggio cinematografico e dei risvolti filosofici che si annidano nelle scelte compiute dagli esseri umani, siano esse politiche o sociali (e fra le due non c’è differenza, come si diceva nel ‘68). La storia che si dipana in questo bel romanzo distopico, ricchissimo di rimandi alle discipline citate, spinge il lettore a porsi mille domande sul significato di ciò che siamo o potremmo essere, sulla forza dell’immaginazione e della fantasia, su un mondo che sarebbe potuto esistere e sul Potere, quello terreno e quello del linguaggio: anche dopo la sua decostruzione – come avrà modo di argomentare Feríta nel finale – basterà ricostruirlo per generare un nuovo potere, non sapremo mai se migliore o peggiore del precedente.