A tu per tu con… Vincenzo Imperatore

vincenzo imperatoreDopo aver letto il libro di Vincenzo Imperatore, ero particolarmente curioso di conoscerlo di persona. Io so e ho le prove è uno di quei testi che arrivano al lettore come un pugno nello stomaco, fanno riflettere sull’inadeguatezza del singolo individuo al cospetto di entità sempre più astratte e sempre più potenti che, direttamente o no, influenzano le scelte e indirizzano la vita di milioni di persone. E le banche sono decisamente tra queste, in particolare prima del crack finanziario subito dalla Lehman Brothers. A pochi minuti dall’inizio della presentazione del suo libro al festival “A tutto volume”, incontro Vincenzo Imperatore e lo intervisto su una panchina del corso principale di Ragusa. Subito resto colpito dalla spontanea ospitalità e dal sorriso luminoso di un uomo che, lungi dal sentirsi un eroe o un benefattore, ha saputo mettere in discussione la sua vita, non solo da un punto di vista professionale.

Perché ha scelto un titolo e un incipit che rimandassero così fedelmente a Pasolini?

Pasolini scrisse “Io so. Ma non ho le prove”, riferendosi ai responsabili delle stragi di stato e ai golpisti. Sapeva ma, appunto, non aveva le prove. Il titolo, dico la verità, è stato scelto dall’editore e nasce dalla sua richiesta di provare quanto dicessi prima di scrivere il libro. Su questo passaggio si è giocata tutta la costruzione del testo. Volevamo essere il più preciso possibile ed evitare querele per diffamazione che, visto il tema delicato e la forza dell’“avversario”, senza fornire adeguate prove sarebbero senz’altro arrivate.

Leggere questo libro è un’esperienza davvero forte, mette alla prova la pazienza e l’autocontrollo del lettore. Cosa l’ha spinta a raccontare la sua storia senza filtri giustificativi?

Sono stato un artefice di quel sistema, non una vittima. Qualche minuto fa ho incontrato una mia collega che mi ha detto che ero “il genio del male”, uno di quelli che incitava a vendere quella spazzatura (i derivati, ndr). A spingermi è stato, come spiego nel libro, un episodio determinante: a un certo punto non ho più sentito il sostegno di “mamma” banca. Può sembrare paradossale, ma di quello che facevamo, vendere prodotti non eticamente validi, noi eravamo consapevoli e ce ne davamo quasi una giustificazione sociale. Eravamo convinti, mi convincevano e io convincevo i miei collaboratori, che vendere assicurazioni, derivati, diamanti o obbligazioni Lehman Brothers avesse una funzione sociale. Il gruppo per cui lavoravo doveva pagare 140 mila stipendi e solo vendendo quei prodotti avrebbe potuto realizzare gli utili necessari a farlo. Perciò quando mi ripetevo questa cosa, in realtà, mi davo una giustificazione per quello che facevo. All’inizio avevo la forza dell’azienda alle spalle poi, a un certo punto, i vertici e gli stessi manager che avevano costruito quei prodotti hanno assunto le distanze da noi tutti, quasi come fossero di un altro pianeta. A quel punto mi sono sentito solo e ho iniziato gradualmente a prendere le distanze dal gruppo fino ad arrivare a un’interruzione consensuale del rapporto lavorativo.

Lei afferma che gli organi che avrebbero dovuto controllare le banche non lo hanno fatto almeno fino al 2008. Perché, siamo autorizzati a pensare il peggio possibile?

Più che essere semplicemente autorizzati a pensarlo, dovete sapere che è stato proprio così. Gli organi di controllo, interni ed esterni alle banche esistevano, ed esistono tuttora, ma fino al 2008 facevano controlli formali con un preavviso di due settimane. I controlli in banca dovrebbero essere improvvisi e inaspettati, altrimenti si ha il tempo di nascondere o “riparare” eventuali problematiche. Inoltre le sanzioni a seguito di irregolarità riscontrate erano assolutamente ridicole. Una tiratina d’orecchie o una telefonata in cui si veniva invitati a fare le cose diversamente e non a impedire che certe cose venissero fatte. Dal 2008 in poi cambia lo scenario. Prima i controlli esistevano soltanto sulla carta ed erano consapevolmente improntati a non spaventare i dipendenti o i venditori di quei prodotti. Se gli organi avessero sanzionato un venditore come da manuale, avrebbero causato l’effetto di inibire tutti gli altri.

Con la crisi del 2008 la musica cambia radicalmente, almeno in teoria. Ma perché nessuno, tribunali degli Statiio so e ho le prove Uniti a parte, non ha obbligato i responsabili degli istituti di credito a restituire parte dei profitti illeciti?

Questa è una bella domanda… Negli Stati Uniti i componenti del board di Lehman Brothers non solo sono andati in carcere, e sottolineo che ci sono ancora, ma in quel momento il governatore della Federal Reserve costrinse anche tutti gli amministratori delegati delle principali banche americane a dimettersi. In Italia c’è stato semplicemente uno “scambio di panchine”: Profumo da Unicredit al Monte dei Paschi di Siena, Passera da Banco Posta a Intesa a ministro dell’economia, Arpe da Banca di Roma a Banca Popolare di Milano ̶ entrambe quasi commissariate e sull’orlo del fallimento. Gira e rigira, stanno ancora tutti lì perché in Italia è la lobby bancaria che controlla la politica e non viceversa come avviene negli Stati Uniti.

Lei è convinto, e io con lei, che la situazione non è affatto cambiata. Perché e cosa dovrebbe fare la politica in merito?

La politica non può fare nulla soprattutto dopo l’annullamento della legge sul finanziamento dei partiti. Ma, secondo te, come fa un partito a finanziarsi la campagna elettorale? Chiedendo i soldi a una banca. È chiaro ed evidente che il controllo è nelle mani delle lobby bancarie. Un caso su tutti: nel 2009 la Cassazione dichiarò illegittima la “commissione di massimo scoperto”. Ricordo quel momento come se fosse ieri, una parte fondamentale del conto economico della banca veniva meno. Dopo molte pressioni, il governo Monti introdusse due diversi tipi di commissioni al posto di una, col risultato di far lievitare i costi per il cliente. Se questo non è controllare la politica, dimmelo tu cos’è.

Cosa pensa del modello nordeuropeo di banca etica?

In realtà tutte le banche possono essere etiche, pur mantenendo la logica del profitto. Da poco in Italia ce n’è una, ma è ancora sviluppata, la Banca Popolare Etica di cui sono cliente, tra l’altro. Questa è davvero una banca che fa finanza etica. Non acquista con i soldi dei cittadini titoli di stato o altri titoli per fare trading, evidenzia nel proprio bilancio dove vanno a finire i soldi ed è una banca che funziona davvero. Purtroppo ha ancora dimensioni molto piccole ed è presente solo nelle grandi città. Si stanno certamente organizzando. Questo è il futuro. Vuoi fare un esperimento? Prova a chiedere ai passanti cosa pensano della loro banca. Il 99% di loro ti risponderà: usurai, ladri, strozzini. Nessuno te ne darà una connotazione positiva. Ciò significa che ormai la coscienza collettiva è abbastanza compatta nel credere che quel tipo di sistema sia corrotto e marcio. Ora c’è davvero bisogno che ognuno di noi faccia la propria parte con le denunce o con le lamentele presso la propria banca di riferimento altrimenti le cose non cambieranno mai.

Cosa è cambiato da quando ha smesso di fare il manager finanziario? Ritorsioni da dentro o da fuori l’ambiente bancario.

Silenzio assoluto da parte loro. Non una sola querela, non mi hanno voluto legittimare. Nessuno che sia venuto ai vari talk show cui ho partecipato. Gianluigi Paragone del programma “La gabbia” mi diceva proprio che lui li ha continuamente invitati ma hanno sempre rifiutato. Il classico comportamento di chi vuole zittire chi ha cose da dire. Per quanto riguarda i miei colleghi, invece, hanno tutti un approccio carbonaro. Non si fanno vedere in giro con me, ma se ci incontriamo lontano da occhi indiscreti esprimono il loro consenso sul mio lavoro presente e futuro.

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