Dopo l’uscita in libreria del thriller “Solo Dio è innocente”, che abbiamo recensito per i nostri lettori (se vi siete persi la nostra recensione, potete leggerla qui https://www.gliamantideilibri.it/solo-dio-e-innocente-michele-navarra/) abbiamo pensato di fare qualche domanda all’autore di quello che promette di essere uno dei migliori thriller italiani del momento, Michele Navarra.
1) Come mai hai scelto di cimentarti in un genere così “inusuale” come il legal triller?
Il motivo è molto semplice. Sono un avvocato e sono sempre stato affascinato dai romanzi di ambientazione giudiziaria, dove il conflitto tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia assume una connotazione tutta particolare. Inoltre, si trattava di argomenti e ambienti che conosco bene, quindi il compito almeno da questo punto di vista era facilitato.
2) Quali sono, secondo te, gli elementi necessari per scrivere un buon thriller?
Penso che in ogni romanzo, l’elemento fondamentale sia quello di scrivere una storia che costringa il lettore ad andare avanti, a girare le pagine una dopo l’altra per sapere come va a finire. Il thriller a mio avviso non fa eccezione a questa regola generale. Non credo ci siano “ingredienti” particolari da mescolare, se non quelli comuni ad ogni narrazione: pathos, sentimenti, azione, reazione, riflessione.
3) Sei stato ispirato da qualche autore in particolare? Se sì, quale?
Fin da bambino sono sempre stato un lettore onnivoro, quindi non ho un vero e proprio autore di riferimento. Dal punto di vista della tensione emotiva (e della tecnica) ho sempre amato un tipo di narrazione “alternata”, di cui ad esempio è maestro Stephen King, in cui i piani narrativi nascono distinti e si sviluppano in parallelo (con degli “stop and go” continui tra un capitolo e l’altro), per poi confluire in un racconto comune.
4) Quanta realtà c’è nella tua finzione? (nel senso, alcuni eventi raccontati sono stati ispirati da fatti accaduti realmente?)
La storia che racconto nel romanzo è frutto della mia fantasia, sebbene purtroppo qualcosa di simile è accaduto realmente (e in modo addirittura più cruento). I personaggi che faccio muovere sulla scena sono completamente inventati, sia dal punto di vista fisico che da quello caratteriale-psicologico, così da avere molta più libertà nel modellare la trama e le interazioni tra i protagonisti della storia.
5) Quando nasce l’ispirazione per questa storia?
L’idea di scrivere questo romanzo è arrivata casualmente. Lo racconto nelle note finali al romanzo.
6) Alessandro Gordiani: genesi di un eroe “riluttante”
Mi piace moltissimo questa tua definizione di “eroe riluttante”, che mi sembra perfetta per descrivere Alessandro Gordiani. Non ho mai amato i capitani (troppo) coraggiosi e ho sempre invidiato coloro che non hanno dubbi e sanno sempre esattamente cosa debbono fare. Alessandro, da questo punto di vista, è un po’ come me: un uomo pieno di dubbi, costretto a volte a compiere scelte difficili (e anche coraggiose, se vuoi), che potrebbero avere conseguenze devastanti per le persone che a lui si sono affidate, e sempre nella consapevolezza che non è detto affatto che le sue decisioni e le conseguenti iniziative intraprese a porteranno ai risultati sperati.
7) Quale è stato il personaggio che ti è risultato più difficile da scrivere e perché?
Forse Carlo Serra, il cugino di Mario, perché in lui dovevo far convivere due anime diverse e contrapposte tra loro: da un lato, Carlo è una sorta di personaggio in un certo senso “positivo” (anche se mi è comunque difficile definirlo tale), un alleato della difesa, che si muove per trovare elementi favorevoli ad essa; dall’altro resta un uomo terribile, quasi disumano, sia per i suoi trascorsi che per come cerca di portare a termine il suo “incarico”.
8) Il codice barbaricino sembra essere uguale alla legge del taglione: in cosa differisce da quest’ultima?
Sicuramente vi è un denominatore comune tra i due “istituti”, essendo entrambi basati sulla vendetta, che del resto molti studiosi considerano come un “universale antropologico”, presente in moltissimi ordinamenti (scritti e non scritti) del passato. Il codice barbaricino è stato oggetto di studi approfonditi, soprattutto ad opera di Antonio Pigliaru, che, dopo una certosina opera di ricerca sul campo, ha cercato di codificare per iscritto le regole fondanti di questa sorta di “ordinamento parallelo” a quello statale, che comunque prevedeva tutta una serie di regole e bilanciamenti, affinché “ricambiare il male col male” fosse percepito dalla comunità come una cosa “giusta” (o quantomeno “giustificabile”) e proporzionata al torto subito. Insomma, il codice barbaricino, nella sua accezione tradizionale, aveva come scopo di “regolare” la vita della comunità ed era assai più complesso di quello che si può immaginare.
9) Quanta Sardegna reale c’è nel tuo romanzo e quanto è stata romanzata?
Direi che entrambe queste componenti sono presenti nel romanzo. I luoghi descritti e la loro potente bellezza sono assolutamente reali, mentre alcuni aspetti (soprattutto nei rapporti interpersonali) sono necessariamente romanzati.
10) Navarra nei panni di Gordiani: cosa avresti fatto di diverso tu nei panni dell’avvocato trovandoti davanti a un (presunto) pericoloso criminale? Cosa avresti cambiato della tua storia?
È davvero difficile rispondere questa domanda. Nella realtà, sarei stato molto più aderente alle risultanze processuali, senza prendere troppe iniziative. Probabilmente, sarei stato più “attendista” rispetto ad Alessandro Gordiani.
11) Tra i tanti temi presenti nel tuo romanzo, uno in particolare mi ha colpito ovvero il tema degli uomini che maltrattano le donne. È stata una scelta casuale quella di parlare di questo tema oppure è qualcosa che senti di voler trasmettere ai tuoi lettori?
Ho già affrontato in altre occasione la tematica della c.d. “violenza di genere”, ad esempio col progetto “Educal”, grazie al quale abbiamo svolto all’interno dei licei romani dei processi simulati sull’argomento, cercando di far capire ai ragazzi quali conseguenze possono avere, a livello giuridico, determinate condotte, che loro magari tendono a sottovalutare. Nel caso di Cossu non avevo come obiettivo quello di trasmettere al lettore un particolare messaggio, ma solo quello di dipingere un personaggio spregevole, insomma uno stronzo fatto e finito, come lo hai ben definito tu. Poi, se così facendo è anche arrivato un messaggio forte e chiaro di un certo tipo, sono ancora più contento.
12) Pensi di scrivere altre avventure sul personaggio di Gordiani?
Penso proprio di sì, o almeno spero di scrivere ancora altre storie con Alessandro Gordiani come protagonista.
13) Chi è Navarra? Quali interessi ha? Come si avvicina alla scrittura?
Sono un avvocato, anche se amo moltissimo la scrittura, che mi consente di essere molto più “libero” di esprimermi rispetto alla professione. Amo lo sport e la lettura e mi piacerebbe viaggiare, dato che finora – un po’ per pigrizia, un po’ perché alle volte la vita non me lo ha consentito – l’ho fatto molto poco. Mi sono avvicinato alla scrittura per… legittima difesa. Come ho recentemente scritto, il pesante senso di responsabilità e i dubbi che accompagnano la vita dell’avvocato e che contraddistinguono ogni difesa cominciavano a diventare un fastidio costante, un vero e proprio rovello interiore, in grado di intossicare anche le vittorie professionali più belle e così, per esorcizzare questo malessere di fondo ho deciso di mettermi a scrivere. Quale mezzo migliore di un romanzo per raccontare – attraverso le parole e le azioni di un “avvocato di carta”, che utilizzasse a volte anche la chiave dell’ironia – le tante cose che non vanno all’interno del “pianeta giustizia”, per dar voce alla mia coscienza di uomo e di professionista?
14) Navarra intervista Navarra (e per una volta il lavoro sporco e le domande scomode vanno a te autore). Cosa chiederesti a Navarra se tu fossi al mio posto?
Mi chiederei se nella vita professionale reale riesco ad essere così “puro” come Alessandro Gordiani…
Speriamo di aver placato un po’ la curiosità dei nostri lettori e non vediamo l’ora di leggere un nuovo lavoro di questo ottimo autore.