Tanti di noi fanno sport, tanti altri dovrebbero farne di più. Ma quanti di noi ragionano sul fatto che dietro a ogni singolo movimento del nostro corpo c’è qualcosa di scientifico? Quanti pensano che tirare un calcio al pallone o colpire con una racchetta una pallina siano mere attuazioni di leggi scientifiche? A ricordarcelo è uno degli scienziati scrittori più famosi, Marco Malvaldi, da poco in libreria con Le regole del gioco (Rizzoli).
Come mai hai deciso di cimentarti in un libro sportivo?
Sono un appassionato di sport, lo pratico, lo guardo, mi viene spesso la curiosità di cercare di capire come mai a livello sportivo determinate cose funzionano in quel modo. In più c’è l’interesse di capire per quale motivo, nonostante la scienza sia importante per lo sport, anche perché molto spesso lo sport è determinato da leggi di fisica, di biologia, di matematica, sono rarissimi coloro che sono sia sportivi sia scienziati allo stesso tempo. Sapete quanti sportivi che sono stati anche scienziati professionisti ho trovato finora? Soltanto sei. Nella storia secolare dello sport è veramente poco, un dato insignificante. Noi esseri umani siamo in grado di risolvere cose sia a livello astratto, come equazioni, sia a livello pratico, calciando palloni. Sono sempre stato affascinato da come una persona può essere in grado di fare una cosa pur essendo totalmente incapace di fare l’altra. Rarissimamente le due cose si intersecano in una stessa persona.
Scienza e sport quindi si incrociano molto spesso…
Da un punto di vista scientifico ci sono alcuni sport quasi completamente determinati dalla fisica, come la formula uno o lo sci; altri sono un compendio di biologia, chimica e matematica.
Il gioco del calcio, sempre da un punto di vista scientifico, è un gioco estremamente complesso perché ha due regole che sono banali ma che danno conseguenze complesse. La prima di queste è che condividere un obiettivo non significa condividere un piano di azione, per cui pur essendo tutti interessati a fare goal se tutti gli 11 giocatori fossero attaccanti sarebbe impossibile. Secondo: avvicinandoti alla porta aumenta sia la probabilità di fare goal, sia la probabilità di perdere la palla. Quindi si deve stare molto attenti. Ci sono molte attività umane che possono essere ricondotte a questa metafora: avvicinandoti all’obiettivo aumenta sia il rischio sia la probabilità. E queste cose si studiano bene con matematica. Alla fine la scienza non è altro che un approccio che tenta di levare quello che c’è di superfluo, e di cercare di capire quello che c’è di più semplice riconducibile a quel dato sistema.
Quindi, comprendendo una partita di calcio, si potrebbe capire come risolvere i conflitti tra due fazioni e non tra due persone. Chiaro che la partita di calcio è molto più facile da studiare che non due gruppi di persone che si sparano missili.
Molti il sport, tra cui il tennis e il golf per esempio, sono fisica aerodinamica; perché non insegnare queste materie tramite lo sport?
Nel libro prendi l’esempio del pentathlon come metafora della vita e dell’essere umano perché è così secondo te? L’essere umano è davvero versatile?
Sì, l’essere umano è versatile perché da un punto di vista di picchi è una mezza ciofeca, corriamo lentamente rispetto a un ghepardo, nuotiamo lentamente rispetto a uno squalo, abbiamo capacità di forza e di resistenza fisica abbastanza basse rispetto a quelli che sono i top nel regno animale.
Però sappiamo fare moltissime cose: sappiamo correre, uno squalo non è capace di correre, sappiamo nuotare, un giaguaro no. Corriamo più lenti di un cavallo, ma siamo capaci di addestrarlo e montarci su, di farci obbedire dal cavallo stesso. Siamo in grado di scagliare proiettili sia a mano sia con attrezzi costruiti da noi, siamo in grado di interagire con il mondo esterno in delle maniere in cui nessun altro essere vivente è capace, siamo versatili. Il nostro punto di forza è la versatilità, sappiamo fare tantissime cose, e questo lo si capisce quando l’uomo viene comparato agli altri animali; l’unico animale che ci sta lievissimamente dietro sono le scimmie superiori, i ‘’Bonobo’’, dalle quali potremmo imparare molte cose su ciò che è naturale e ciò che non lo è. Il fatto è che noi sappiamo fare, anche se non alla perfezione, un grandissimo numero di cose, e sappiamo quando è il momento giusto per farle.
Pensiamo anche solo al camminare: da un punto di vista fisico potrebbe sembrare una banalità, la parte più pesante del corpo, la testa, la portiamo lontano dal suolo, siamo un pendolo invertito. E’ un casino camminare e noi siamo gli unici ad aver scelto di farlo. Questa apparente assurdità ci porta un vantaggio pauroso. E la versatilità è la cosa che ci dà tutti questi vantaggi. E’ una cosa talmente banale che spesso sfugge; io l’ho scoperto in un libro di fisica degli animali ‘’Life’s devices’’ di Steven Wagen, dove appunto l’autore partiva da questo esempio: “Esistono animali a ruota? No.” Essere un predatore a ruota non sarebbe funzionale. Efficienza non sempre significa capacità di vivere, quest’ultima è molto spesso adattabilità. Quindi più sei versatile più hai possibilità di evolverti e di sopravvivere.
E’ un saggio ma anche un po’ self-help il tuo, non credi?
No, è più SCIENCE-HELP, non ti renderà più capace di fare una determinata cosa, ma forse più consapevole che fare quella cosa è difficile. La mia è un’opera di divulgazione non di filosofia, io riprendo cose dette, scoperte e osservate da altri; di mio c’è lo spirito.
Uno dei difetti della divulgazione scientifica italiana è che spesso risulta fredda.
L’umorismo contraddistingue molto la tua scrittura, come riesci a trasmettere il divertimento attraverso ciò che scrivi?
Io tento di prendere una direzione che sembra apparentemente prefissata e poi stravolgerla, mettere un cambio invisibile. Questo nelle letture di scienza è utilissimo perché si è troppo spesso abituati ad un linguaggio ‘’ampolloso’’ e serioso per cui la scrittura ironica destabilizza il lettore. L’etimologia di ‘’divertire’’ sta proprio a significare ‘’cambiare direzione’’.
Un’altra delle cose che faccio è il contrasto tra aulico e volgare, che ho imparato dal grande scrittore inglese Wood House: se in un contesto molto forbito si inserisce un linguaggio più volgare e quotidiano rende molto di più.
Una volta letto il tuo libro, quale messaggio vorresti che arrivasse al lettore?
Il messaggio è contenuto nell’ultima frase del libro: ‘’fare scienza è divertente’’.
Mi rendo conto che chi fa scienza già lo sa, chi non fa scienza neanche se lo immagina.