Mentre i rumori e la frenesia metropolitani ci avvolgono, abbiamo incontrato sul web chi ha indagato il silenzio, compiendo uno straordinario viaggio proprio fra coloro che il silenzio lo custodiscono, gli ultimi eremiti dell’epoca moderna.
Lo scrittore-giornalista Francesco Antonioli, che da anni si occupa di approfondire,a confronto con credenti e non credenti, questioni culturali e religiose legate alla ricerca della spiritualità, ci ha offerto nel suo ultimo libro,“Un eremo è il cuore del mondo”,una galleria di ritratti di creature veramente particolari, che hanno compiuto scelte per noi, forse, estreme, ma che ci raccontano di esistenze piene e libere. Impossibile non venire colpiti,come ci dice lo scrittore, dall’eco del loro cuore.
Ecco l’intervista che Antonioli ci ha regalato.
Tutto ha inizio in una notte, il Capodanno 2011, in Umbria, tra Cascia ed Assisi e con un rifiuto a un’intervista, il rifiuto di Cristina. Cosa l’ha spinta ad affrontare questo argomento ed ad iniziare questa ricerca fra “gli ultimi custodi del silenzio”?
Avevo incontrato degli eremiti poco meno di vent’anni fa. Un’esperienza già allora entusiasmante, che mi aveva colpito, interessato. All’epoca ero inviato di Avvenire. Ma ero spinto da una curiosità essenzialmente giornalistica. Non che fosse sbagliato, intendiamoci. Adesso quella cifra professionale e’ rimasta, ma ho avvertito forte la necessità di mettermi in gioco anche come uomo. Così – di fronte a queste creature così particolari – ho cercato di raccontare emozioni, sentimenti e riflessioni anche personali. È vero, qualche anacoreta non ha voluto che scrivessi del nostro dialogo o, addirittura, ha preferito non incontrarmi. Lo avevo messo in conto, anche se sul momento mi sembrava una sconfitta. Si tratta di un rifiuto legittimo: la mia, pur garbata, è comunque sempre una effrazione… Però con l’atteggiamento rispettoso di chi è in ricerca spirituale.
Il suo reportage è stato sicuramente frutto di un percorso costruito nel tempo, spesso dice di avere già incontrato gli eremiti che “intervista”, leggendo il libro sembra quasi di trovarsi di fronte ad un discorso sospeso che è stato ripreso. Come ha organizzato questo viaggio, come ha scelto la successione delle tappe, quanto tempo ha impiegato?
Non saprei dire con esattezza, anche perché non ho potuto dedicarmi con continuità, visti gli impegni al giornale e in famiglia. Comunque un paio d’anni sono serviti tutti, anche se simbolicamente ho voluto far iniziare il viaggio a Capodanno 2011, con un episodio che mi aveva toccato molto. Con alcuni eremiti c’era davvero un discorso sospeso – o rimasto aperto – da lungo tempo. Con altri l’ho avviato ex novo. Una volta completati i viaggi e gli incontri – che ho condiviso talvolta sia con mia moglie sia con i miei figli – ho riordinato carte e appunti mettendo a punto la sequenza, trovando un filo per il ragionamento e un senso nel cammino compiuto.
Le coincidenze. Le nomina spesso, che valore hanno avuto in questa sua straordinaria esperienza? Ce ne racconta una significativa?
Sono legami, fili talvolta invisibili che uniscono persone e situazioni. La più sorprendete, per me, è stato scoprire di un giovane eremita che adesso vive nell’Appennino emiliano. A questa sua vocazione hanno contribuito alcuni miei scritti di diversi anni fa sugli eremiti. Ne sono rimasto sorpreso e turbato. Molto turbato. E ho scoperto di lui su Youtube…
Gli eremiti hanno mani e occhi che “ti restano dentro”? Come sono i volti degli eremiti che ha incontrato, cosa le hanno lasciato?
Sono volti sereni, a volte scavati, ma che sostengono sguardi trasparenti, limpidi. Mettono soggezione, talvolta, perché sanno andare al sodo. Mi hanno confermato nella convinzione che è opportuno, anche se doloroso, far cadere le maschere con cui ci presentiamo, spesso segno di fragilità. È l’unico modo per trovare un vero equilibrio e aprirsi, con ritrovata umiltà e consapevolezza dei propri limiti, all’Altro.
Come parlano gli eremiti?
Come noi. Esattamente come noi. Non si perdono in fronzoli, però. Sono molto essenziali, semplici e diretti.
Dall’ascolto delle loro testimonianze può dire che esistono differenze nel vivere l’esperienza eremitica da donna o da uomo?
Per una donna, forse, può sembrare più faticoso, o pericoloso. Tuttavia, nell’esperienza eremitica più che in altri ambiti della Chiesa (almeno per ciò che concerneil mondocattolico), ho potuto riscontrare maggiore “parità” che in altri ambiti.
In questa intensa indagine spesso ci ha riferito di suoni, profumi, sensazioni che l’ambiente le davano, ma che voce ha il silenzio?
Ha l’eco del cuore. Sì, mi sembra giusto dire così. Il cuore: un luogo caldo e accogliente, ma non una cittadella dove asserragliarsi scontrosi. Sull’ultimo numero della Domenica, l’inserto culturale del Sole-24 Ore, il poeta Franco Loi osserva con buona intuizione: “Ha scritto il fisico e matematico Max Planck: Più conosco e più mi trovo davanti al mistero. E il mistero lo ritroviamo nel silenzio, che non è il ‘nulla’che tanto ci spaventa, ma semplicemente il limite di ogni nostro pensiero logico e di ogni disordine della mente, e anche il punto più profondo dove si manifesta il nostro essere o la presenza di un dio”. Verissimo.
Nella sua carriera giornalistica lei ha una grande esperienza nell’approfondimento delle questioni culturali e religiose legate alla ricerca di spiritualità in credenti e non credenti, ha intrattenuto sull’argomento un dialogo aperto con psicologi, psichiatri, intellettuali, filosofi, politici e artisti, come colloca nella sua formazione questo viaggio fra gli eremiti?
È un viaggio che mi ha aiutato a sentirmi più completo. Ho sempre avuto un rapporto troppo “intellettuale” con la fede. Mi avvicinavo a questi temi con la “testa”, meno con il “cuore”. Gli eremiti mi hanno aiutato a capire proprio questo. Noi tutti abbiamo un bisogno ancestrale: sentirci amati. Ma, in primis, ciò comporta comprendere chi siamo; buttare giù le maschere; ammettere e convivere con i nostri limiti e i nostri difetti; essere capaci di relazione. È una prospettiva che non avevo mai troppo considerato per quel che riguarda il rapporto con l’Assoluto, con Dio.
E’ chiaro che, oltre ad essersi messo in gioco come cronista, abbia compiuto una profonda ricerca interiore, come si sente cambiato al termine di questa esperienza?
Mi sento più sereno, probabilmente più capace di capire quali sono le priorità della mia vita. Mi sento persino più capace di autoironia, che è sempre un buon ingrediente per mettere a tacere egoismi e meschinerie. Nel giusto dosaggio, d’altronde, ironia e umorismo sono buone vie per una corretta spiritualità: perché aiutano a non prendersi troppo sul serio, a non fare di noi stessi e delle nostre idee degli idoli.
Solitudine, colpa o dono di Dio? Affronterebbe mai una scelta di vita eremitica?
Non credo. Sono contento di ciò che sono, marito e padre di famiglia. Amo il mio mestiere. E credo di continuare su questa strada. Peraltro non penso che gli eremiti desiderino che tutti diventino come loro. Sono sentinelle nella notte, “servi inutili”, fari che possono indicare una strada. Ci dicono di non avere paura del silenzio, cioè di guardare dentro noi stessi, perché è scavando lì che si può arrivare a Dio. E ci suggeriscono anche di non farci prendere dai sensi di colpa: un’educazione, una religione o una spiritualità che usino i sensi di colpa per fare breccia o tenere legate le persone sbagliano il tiro. Creano schiavitù, non aiutano ad aprire il cuore.
Qual è il suo progetto futuro? Possa augurarle buon proseguimento di ricerca?
«Grazie. Sono ancora in cammino, ed è lungo. Progetto futuro? Qualcosa c’è… ma forse è prematuro, meglio custodire un sobrio silenzio!».
…un’ultima cosa, regalerebbe un pensiero, un augurio, un saluto agli Amanti dei libri?
La vostra è davvero una bella iniziativa. Si ama con il cuore. Anche i libri vanno amati con il cuore. E una buona lettura può aiutare a entrare nel “cuore del mondo”.