Quando la semplicità e la levità si coniugano al talento, allora nasce qualcosa di grande: è quello che è successo sabato sera, nella meravigliosa cornice del Teatro Cagnoni di Vigevano, in occasione della consegna del Premio Internazionale alla Carriera a Daniel Pennac.
Il Premio si colloca nella Rassegna Letteraria Città di Vigevano, dedicata quest’anno al tema Anima e Corpo e Pennac, come la motivazione al Premio sottolinea, “con la sua capacità di rendere visibile e vivibile la vita e il suo sguardo depositato su un’umanità di figure fragili e bizzarre, marginalizzate, ma che lo scrittore ripropone in un vivace e poetico equilibrio fra corpo e mente che dà loro sempre dignità di persone”, non poteva essere vincitore più meritato.
La serata è stata un piacevole rincorrersi di letture, pensieri, racconti di storie e aneddoti divertenti. Le histoires drôles di Pennac hanno letteralmente conquistato la platea, ma non sono mancate riflessioni profonde.
Partendo dai primi successi dello scrittore, e dall’amabile lettura introduttiva fatta da Lella Costa di un brano tratto dal ciclo di Malaussène, Pennac ha evidenziato tutta l’ambiguità della cosiddetta normalità attraverso il suo celebre personaggio Benjamin Malaussène; l’umile e marginale che sovverte la normalità, ma che nel suo ruolo di “capro espiatorio” costituisce l’elemento diverso e da escludere grazie al quale il gruppo si fa forza. Pennac ha dichiarato di essere sempre stato disgustato, fin da piccolo, da questa forma di discriminazione e di essere stato a sua volta un Malaussène a scuola, incarnando la figura dell’asino. Cattivo scolaro perché affetto da un’originale forma di paura delle domande e lettore clandestino perché -come lui stesso dice – “quando avevo dodici anni a scuola ci vietavano di leggere e io nel dormitorio leggevo di nascosto Dumas, così l’indomani scrivevo quello che poteva essere il seguito di quello che avevo letto ed era per me un modo per continuare a leggere”. Un buon lettore prima di essere un grande scrittore dunque, un assioma che Pennac considera irrinunciabile.
Del resto, celeberrimo è il suo “decalogo del lettore” (“Come un romanzo”, 1993) che, come lo scrittore confessa, a costo di essere riconosciuto come massima forma di demagogia e lassismo, costituisce la più grande tutela per la lettura integrale di un’opera letteraria. Il diritto di saltare le pagine, e di farlo liberamente, impedisce al lettore di rivolgersi ad una versione ridotta dalla casa editrice e il potere che sull’opera si acquisisce instilla il desiderio crescente di appropriarsi con la lettura di parti non lette prima. E’ così che Pennac ha letto progressivamente, dai 14 ai 25 anni, per ben tre volte, l’opera colossale “Guerra e Pace”di Tolstoj.
Ricorrenti in tutta la serata sono stati i riferimenti autobiografici, Pennac è un fiume che travolge con la sua simpatia, la sua umanità, il suo stupore gentile. Non si risparmia, offrendoci aneddoti sul padre, sugli amici, sulla sua infanzia e confessa di riempire i suoi romanzi delle persone che più ama, dei suoi ricordi, di sé, anche se in maniera non dichiaratamente autobiografica. Solo in un caso ammette senza pudore di aver scritto, in “Storia di un Corpo” – 2012- di un episodio assolutamente personale: l’estrazione di un polipo dal naso.
La lettura magistrale di Lella Costa si è appena conclusa, nessun truculento dettaglio ci è stato risparmiato e Pennac ci regala una straordinaria immagine: tre metri di garza vengono infilati su per il naso come la carica di un cannone viene spinta dall’artiglieria russa. E’ questa la magia: trovare sempre le parole giuste per descrivere con leggerezza anche gli aspetti più miserevoli dell’umanità e, poco importa se il corpo oggi viene divinizzato e costantemente esposto, perché il rapporto che ognuno ha con esso è intimo, silenzioso, nascosto e solo uno sguardo attento e curioso come quello di un grande scrittore può portarlo alla luce.
La serata si conclude con la lettura di un brano tratto da “Come un romanzo”. Si descrive la nascita della scrittura, la prima volta che compare sul foglio, in quello stretto corridoio dal tetto basso che è la riga, la parola “mamma”. E’ commovente poesia, tutti noi ci rivediamo a scuola, alle prese con la difficoltà e la gioia della nascita delle parole.
Pennac ci saluta con un’ultima barzelletta, non vuole che venga tradotta e si lancia in un irresistibile franco-italiano. Ci strappa un’esplosiva, sonora risata e ci conferma la sua grandezza di scrittore sì, ma soprattutto di uomo.