Stranieri su un molo – Tash Aw

Titolo: Stranieri su un molo
Autore: Tash Aw
Data di pubbl.: 2017
Casa Editrice: Add editore
Genere: non-fiction, saggio
Traduttore: Martina Prosperi
Pagine: 91
Prezzo: € 12,00

“Sono in un taxi a Bangkok. Il mio compagno di viaggio – europeo, bianco – parla un thailandese spedito, ma ogni volta che dice qualcosa l’autista si rivolge a me per la risposta. Io scuoto la testa. Pom mai ben Thai. Non sono thailandese. No Thai. Lui continua a parlare con me, non con il mio amico. Sono il canale passivo di questa strana conversazione a tre”.

Bangkok, Nepal, Shangai. Ovunque vada, Tash Aw viene scambiato per uno del posto. In Cina, all’aeroporto, le hostess cinesi gli parlano in mandarino, ma l’equipaggio del volo, di Hong Kong, tenta un approccio in cantonese.  Di chi è la colpa, se si genera tanta confusione negli scambi comunicativi tra l’uomo e il mondo? L’autore di Stranieri su un molo svela l’inghippo dopo pochissime pagine. “I miei tratti sono neutri, lievi, la mia carnagione cangiante… La mia faccia si mimetizza nel paesaggio culturale dell’Asia”. E poi, non è forse vero che uno dei desideri più diffusi, ad ogni latitudine, è “che tutti ci somiglino”? La faccia, il volto, il corpo, l’inflessione linguistica tradiscono false provenienze. Nulla come il melting-pot globale mette in crisi il concetto di identità.

Ma chi è Tash Aw e cosa vuole dirci con questo libro? Scrittore nato a Taiwan nel 1971 da genitori malesi, cresciuto a Kuala Lumpur, in Malaysia, vive ora a Londra, dopo aver studiato in varie università inglesi. Poliglotta, ha al suo attivo tre romanzi, due dei quali pubblicati in Italia dalla casa editrice Fazi (La vera storia di Johnny Lim e Mappa del mondo invisibile), che gli sono valsi importanti premi letterari e l’ammissione in finale al prestigioso Man Booker Prize. Stranieri su un molo, tradotto da Martina Prosperi per Add Editore, è invece un saggio biografico o, per usare un termine di gran moda, un’opera di non-fiction.

Stranieri su un molo è un’efficace sintesi di un’esistenza complessa. Il libro è strutturato in sei brevi capitoli, ognuno dei quali focalizzato su un tassello specifico, lungo un sentiero dove ogni passo si raccorda al precedente: i connotati facciali ambigui, fonte di malintesi nelle relazioni umane; le peripezie dei nonni, emigrati in Malaysia dalla Cina negli Anni Venti del secolo scorso; i ricordi del padre, segnati dalla vergogna che scaturisce da un’infanzia dolorosa; la presa di coscienza, maturata da Tash Aw nell’adolescenza, di cosa siano le differenze economiche e i divari sociali, a cospetto dei compagni di scuola; il posto simbolico occupato dalla Cina nell’immaginario occidentale e le relative ripercussioni sulla vita quotidiana degli asiatici non cinesi; la frattura culturale e generazionale tra sé e i propri nonni, specchio finale di tutto il percorso. “Lui era un immigrato. Io ero il nipote di un immigrato. Non avremmo mai avuto lo stesso sguardo sul mondo”.

Tash Aw pone una sfida all’orizzonte cognitivo del lettore europeo. Non è semplice seguire l’autore nel dedalo di lingue e dialetti (hokkien, teochew, hakka), termini inconsueti per il nostro vocabolario, afferenti a gruppi culturali e province cinesi per lo più sconosciute. Entriamo in sintonia con i protagonisti della storia, partecipi di un sentimento di alienazione. Varcato il mare con un indirizzo in tasca, giunti su un molo straniero, per non affondare nel caos i migranti sono costretti ad affidarsi a fragili appigli: un parente già trasferito, un affittacamere del paese di origine, un ristorante aperto da un amico. La lingua, i costumi e l’inedita geografia del territorio costituiscono barriere da superare (L’Approdo di Shaun Tan, Tunuè Editore, è una bellissima graphic novel che illustra il medesimo stato di spaesamento). Per orientarsi nel viluppo spazio-temporale degli eventi, inseriti nell’evoluzione storica del continente asiatico, il lettore è costretto a sconfiggere il naturale pregiudizio eurocentrico.

Nel dialogo tra Tash Aw e il padre, forse il momento più intenso di Stranieri su un molo, cala come una mannaia un silenzio improvviso. Un genitore, non abituato a parlare di sé, si tacita di fronte ai ricordi di povertà, una condizione patita come una dura necessità. L’imbarazzo è stimolo per una riflessione di respiro universale sull’umiliazione dell’esodo e il successivo riscatto. “E’ proprio questo che mi avvilisce in un certo tipo di migranti, quelli che rinunciano a tutto il proprio bagaglio culturale pur di integrarsi con successo nel nuovo contesto… Perché il problema degli Smemorati è che il bisogno di ricominciare da capo nel paese di adozione non si risolve con l’arrivo nella nuova patria; continua anche in seguito, replicandosi fino a trovare un conveniente punto zero, emotivamente e intellettualmente tranquillo, dove prenderà forma una nuova narrazione di sé, una parabola impeccabile che punta a un arco narrativo pulito, completo di quelle dosi di dolore accuratamente confezionate che contrappuntano l’ascesa al benessere, al successo e alla felicità”.

Solo interrogandosi sul non-detto, sulla parte rimossa, lo scrittore può attingere al lato oscuro della verità. L’incredibile boom asiatico contrapposto a un passato ingombrante, il trionfo dei grattacieli accanto alle bidonville, gli squilibri socio-economici e demografici nascosti dalle élites al potere, l’espansione inarrestabile della tecnologia nelle città confrontata con l’arretratezza delle campagne: Tash Aw intinge la penna nelle contraddizioni di un continente, e il suo vissuto individuale diventa testimonianza politica.

A fine volume, in un’intervista appositamente pensata per l’edizione italiana, lo scrittore si sofferma su alcuni aspetti del libro, scioglie nodi terminologici e risponde a domande riguardanti le patologie dell’epoca contemporanea, il razzismo redivivo e i rinnovati nazionalismi, soppesando il valore dell’identità (invenzione o realtà?) e il ruolo della lingua nel contesto dei fenomeni migratori. Tash Aw è un progressista nemico dei luoghi comuni: togliamoci dalla testa che la migrazione di popoli sia “un’esperienza trasformativa”, perché chi valica le frontiere, a differenza di un tempo, si emancipa a fatica e spesso resta pura merce di scambio, preda dei cicli economici dentro flussi globali; non denigriamo la parola “razza”, in quanto “la razza esiste e dobbiamo riconoscerla e affrontare questo concetto invece di fingere che siamo tutti uguali”, evitiamo di dare confidenza al sogno del cosmopolitismo, poiché “il vero cosmopolitismo non esiste tra le classi istruite come crediamo”. Ne Gli Emigrati (Adelphi), W.G. Sebald si chiedeva da quale dimensione o luogo materiale tornassero, a noi, i senza patria. In Stranieri su un molo, Tash Aw cerca di afferrare il secolo ventunesimo dalle radici, ramificate e solide al pari della nostra comprensione del mondo.

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Salentino nato "per errore" a Como (anche per ammissione di chi lo conosce), si laurea in Filosofia a Milano, con una tesi sul concetto di guerra umanitaria. Vive a Bari con Mariluna. Adora il Mediterraneo, ama Lecce, Parigi e Roma. Sue passioni, a parte la buona tavola, sono la letteratura, il cinema, il teatro e la musica. Un tempo, troppo lontano, anche la politica. Suo obiettivo è difendere, e diffondere, la pratica della buona lettura. Recensisce i libri meritevoli di essere considerati tali, quelli che diventano Letteratura, con la L maiuscola, e che gli lasciano un segno. Alessandro scrive con regolarità su Zona di Disagio, il blog del poeta e critico Nicola Vacca, collabora con la rivista Satisfiction, anima il blog di economia e di politica Capethicalism, e scrive di serie TV su Stanze di Cinema.

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