“Perché i terroni salveranno l’Italia”: questo è il sottotitolo del nuovo libro di Pino Aprile, “Giù al sud”.
Già vicedirettore di Oggi e direttore di Gente, nonché giornalista esperto di vela e scrittore di saggi, ha raggiunto la fama con il best-seller Terroni, che ha scalato le classifiche di vendita nel 2010. Il libro ha fornito un’analisi del processo che ha portato all’unità d’Italia alquanto diversa da quella comunemente nota. Al Salone di Torino abbiamo incontrato il nostro meridionalista più famoso per farci spiegare qualcosa del nuovo saggio e della sua visione dei rapporti tra Nord e Sud d’Italia, come si sa non sempre facili.
Questo libro mi è parso fare un duplice invito: a chi vive a Nord a conoscere meglio una realtà vista spesso con gli occhi del pregiudizio e a chi vive a Sud a mostrare il proprio orgoglio. E’ corretta questa mia lettura?
E’ senz’altro giusto. Non sapere la verità su come è nato il paese non fa danno solo a una parte ma fa danno a tutti: a chi è stato discriminato e quindi condannato nel disegno di quello che sarebbe stato il paese comune a un ruolo subordinato, ma anche a chi rischia di vedere nelle migliori circostanze di cui è stato dotato un suo maggior valore personale. In pratica se il nord produce di più è perchè “al nord siamo migliori” se il sud produce di meno è perchè “noi meridionali siamo peggiori”. In realtà ogni nostra azione è figlia di circostanze. Faccio un esempio: se Michelangelo fosse nato in un’oasi del Sahara e non avesse trovato del marmo di Carrara da scolpire il mondo continuerebbe ad ignorare che è passato di qui un genio di questa fatta.
Quindi, per affrontare questi problemi, lei propone un ribaltamento della visione comune, evidenziato dalle copertine dei suoi libri. Perché è così importante operare questo ribaltamento?
La freccia presente sul testo traduce il sottotitolo “Perché i terroni salveranno l’Italia”. Una nazione costruita su uno squilibrio non va molto lontano. C’è da dire obiettivamente che, pur nato così male, questo paese non ha dato cattiva prova di sé: è riuscito a diventare uno dei primi dieci al mondo. Questo è accaduto sulla base di un sistema che all’epoca era in voga per costruire un’economia forte e consisteva nel finanziare la rivoluzione industriale a spese di una colonia interna o esterna (ad esempio l’Irlanda, il Galles, la Scozia o l’ India) ed eleggerla a mercato esclusivo delle merci prodotte dal colonizzatore. Noi quindi non l’abbiamo inventato, lo abbiamo solo adottato copiandolo dalla Gran Bretagna ad esempio. Adesso però questo sistema è datato, appartiene a due secoli fa; il mondo non è più industriale, ma informatico e noi andiamo avanti con un meccanismo che ormai è fuori dalla storia e soprattutto fuori dall’economia. Dobbiamo per forza cambiarlo, facendo dell’Italia non un paese che spreca risorse per dividersi, ma che le usa per confrontarsi con gli altri.
Concretamente questo cosa significa?
Il sud è il principale cliente del nord: se il sud viene ulteriormente impoverito il nord a chi le potrà vendere le sue merci? Ogni euro di PIL in più prodotto al sud ne produce uno e mezzo in più al nord. Il sud attualmente produce poco perché è stato messo in queste condizioni: non ha né treni, né autostrade e tantomeno aeroporti per esportare merci di qualità e attirare turisti. Si produce molto meno di ciò che si potrebbe, come dimostrato dai meridionali che, andando altrove, fanno miracoli. Quindi questo paese deve prima eliminare gli squilibri, dotare il sud delle infrastrutture e a quel punto tutta l’Italia sarà in grado di competere alla pari con gli altri. Se andiamo avanti con queste divisioni il nostro paese, sprecando risorse per farsi dei danni, è destinato a perdere.
In conclusione la vera unità è la salvezza dell’Italia e i “terroni” sono i più deputati a farla, perché sono quelli che patiscono gli svantaggi della disunità: chi ne beneficia ancora (anche se sempre più a fatica) per ora ha disinteresse, ma prima o poi rischia di pagarla cara.
Lei usa esplicitamente il termine razzismo per definire certi atteggiamenti discriminatori dei cittadini del Nord nei confronti dei meridionali. A volte si tende invece a sfumare il concetto, a non voler usare questo termine…
La verità è che chi ragiona così sta solo esponendo una conoscenza che gli arriva da lontano. Se gli obietti qualcosa ti guarda legittimamente sorpreso per dire “Ma dov’è il razzismo?” in realtà frasi come “È chiaro che non sono come noi, però in fondo gli voglio bene lo stesso” oppure “E’ del sud però è bravo” sono già razziste.
A me capitava ad esempio che alcuni redattori mi dicessero “Direttore, sei meridionale ma sei bravo!” e tendevano a farmi un doppio complimento: nonostante io fossi terrone e partissi già svantaggiato ero così capace che avevo recuperato e ce l’avevo fatta. Allora io dicevo: “Ragazzi siamo giornalisti, lavoriamo con le parole: se tu dici nonostante tu sia terrone stai ad indicare un handicap, un moltiplicatore inferiore ad uno e qualsiasi quantità moltiplichi per esso la diminuisci. Se dobbiamo adeguare le parole ai fatti, che è il nostro mestiere, non mi devi chiamare meridionale ma diversamente settentrionale!”
Quale messaggio vuole lasciare a Gli Amanti dei Libri?
Il messaggio è di leggere di tutto e dubitare di tutti i libri, compresi i miei, perché non essendo nessuno perfetto, pur non avendo voluto commettere errori intenzionali, sicuramente ne ho fatti. Come questo avvenga lo spiego nel mio secondo libro, quello che mi è più caro, “L’elogio dell’errore”
Io posso dire di essere salvo perché leggevo, se no non so dove sarei finito!