Salone del Libro 2014: Tradurre i classici

Luciano Canfora, Renata Colorni, Ernesto Franco, Elena Lowenthal e Nuccio Ordine si sono interrogati sulla valenza di tradurre i classici. Nessuno, nemmeno l’autore, conosce un testo meglio di quanto lo conosca un traduttore. Si parte da questo concetto per comprendere che la traduzione non è un’operazione che si può fare una volta per tutte, ma ogni generazione deve ritradurre i suoi classici, perché la lingua cambia continuamente. È il caso della parola “frescone”, presente in una vecchia traduzione del Giovane Holden, che non verrebbe più utilizzata da un traduttore di oggi per via della sua difficile comprensione ai lettori contemporanei.

Per Elena Lowenthal la traduzione è spostare un concetto da un luogo a un altro o da un tempo all’altro, anche perché, spesso, nel cambiamento è necessario un lavoro di ritraduzione. La scrittrice, ricordando la sua insegnante di Greco del liceo, definisce un classico “come un oggetto di imitazione che fa parte di un passato che continuamente si rinnova”.

Il classico, tuttavia, non va associato all’immobilità. Purtroppo la vita per le opere considerate dei classici è sempre più difficile, infatti molte case editrici non li pubblicano più o diffondono moltissimi manuali che tramandano in modo diverso la stessa opera. Inoltre, spesso emerge una grande difficoltà nel trovare filologi che curino edizioni di classici. È questo il motivo dell’appello lanciato da Nuccio Ordine: “per salvare i classici è necessario che le case editrici ricomincino a pubblicarli”.

Carducci riteneva che per imparare a scrivere servisse saper tradurre il latino e il francese. La traduzione non è, infatti, un esercizio statico, bensì formativo e dinamico, è chiarezza mentale. Basti pensare che quasi tutte le letterature che conosciamo sono il risultato di una traduzione, che spesso nemmeno conosciamo. Dietro Omero, ad esempio, c’era già un’epos (una tradizione epica) scritta in una lingua anteriore.

Il lavoro del traduttore è spesso utopico, interminabile, poiché tratta un oggetto sempre da rifare. Durante questa operazione, egli dovrà ricordarsi di misurare la distanza che separa un’epoca all’altra poiché, altrimenti, alcuni concetti, con lo scorrere del tempo, risulteranno incomprensibili. È evidente che chi legge in lingua originale accede ad una grande quantità di informazioni che non può avere chi legge in traduzione. Tradurre non è solo riportare parole e significati ma è anche riportare i silenzi. Traducendo si rischia di comunicare in una lingua che non esiste più, dal sapore antico: il testo di origine non deve essere visto come un monumento ma come una traccia e il traduttore dovrà seguirne i segni. La traduzione sarà sempre un lavoro di compromesso e di straordinaria bellezza.

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