
Data di pubbl.: 2025
Pagine: 87
Prezzo: € 12,50
Marco Masciovecchio è un poeta attento e sensibile. La sua poesia ha sempre uno sguardo umano, o meglio uno sguardo sull’umanità tradita, vilipesa e derisa.
Dopo Poco più di niente (Ensemble 2023), il suo felice esordio, il poeta romano torna alla poesia con Roma sotto a ’sto cielo.
La poesia di Marco Masciovecchio è composta da parole ruvide e dirette che hanno tutte le intenzioni di colpire e affondare, di scorticare la pelle, e soprattutto di creare un imbarazzo in chi le legge.
Anche in questo nuovo libro il poeta sceglie la via dello schianto e della deflagrazione delle parole.
E lo fa adottando il romanesco, dedicando alla sua città, che di eterno adesso ha poco o quasi nulla, versi essenziali, disincantati e disillusi.
Masciovecchio cammina sotto il cielo di Roma, annusa la sua decadenza, denuncia in maniera schietta le sue contraddizioni e allo stesso tempo rivolge uno sguardo agli ultimi e alle ipocrisie della condizione umana, il suo bersaglio sono i benpensanti che spesso e volentieri si girano dall’altra parte.
Masciovecchio è un poeta che scrive parole di carne e sangue. Sotto il cielo di Roma vediamo passare un’umanità persa e messa ai margini, la stessa che amava Pasolini.
Con la lingua di Roma il poeta si specchia nel mondo degli altri. Con immagini potenti entra con il cuore nella vita quotidiana, racconta con versi carichi di empatia il mondo di chi viene costretto ai margini della società.
Matti, poveri cristi, puttane, persone che combattono per la sopravvivenza.
Marco Masciovecchio sotto il cielo di Roma incontra gli ultimi e a loro dedica un canzoniere ricco di umanità.
«Ogni storia raccontata da Masciovecchio – scrive Emanuela Sica nella prefazione – è radicata in un contesto sociale preciso: il quartiere, il condominio, la strada. Il dialetto romano non è solo l’espressione di un io, ma di un noi. È una lingua che vive di relazioni, che si nutre del confronto e della condivisione».
È crudele la poesia di Masciovecchio, ma allo stesso tempo è carica di nostalgia. Il poeta guarda la sua città con gli occhi immediati di chi vuole scrivere solo quello che vede e sente, senza mai tradire la realtà.
«La mia città cià tante chiese / sortanto all’apparenza aperte / ma sempre chiuse, ottuse. /Er gregge s’è smarrito, senza er pastore».
Marco Masciovecchio guarda negli occhi il disfacimento contemporaneo della sua città, denuncia fermamente la mancanza d’amore, mette nero su bianco le giuste parole forti la sua attuale decadenza da basso impero.
Alla fine del libro il poeta fa i conti con il fantasma di Pier Paolo Pasolini e gli dedica una poesia commovente.
«Ma ve lo immagginate, oggi, ar poro Pasolini / dove ogni sua profezia s’avvera più der vero / come poteva vive in mezzo a sto’ sfacelo!».
La poesia di Marco Masciovecchio sotto il cielo di Roma, come quella di Pasolini, vibra di parresia per testimoniare lo scandalo e abbracciare l’umanità.