
Autore: Mark SaFranko
Data di pubbl.: 2020
Casa Editrice: Vague
Genere: letteratura americana, Romanzo
Traduttore: Gabriella Montanari e Michael Wernli
Pagine: 262
Prezzo: € 18,00
New Jersey, metà anni Settanta. Max Zajack, aspirante scrittore, per sbarcare il lunario lavora in un deposito come scaricatore, l’ennesima occupazione provvisoria e malpagata. Max ha scansato la guerra, quella del Vietnam, e da anni attraversa l’America in lungo e in largo tentando di sfuggire alle tare ereditarie che hanno flagellato la sua famiglia, depressione, alcolismo, disturbi psichiatrici. La genetica, dice a se stesso, non dà scampo. Per sapere qualcosa sul suo destino, Max si affida a chiromanti (che non è in grado di pagare) o consulta da sé l’I Ching. Max vive in una topaia infestata dagli scarafaggi e per racimolare qualche dollaro extra strimpella la chitarra acustica nelle bettole del luogo, gli ultimi ritrovi serali risparmiati dall’invasione modaiola della disco music.
Max è ossessionato dalla letteratura: Hamsun, Conrad, Rimbaud, Kafka, Nietzsche, Simenon, Mishima, Dostoevskij, Henry Miller, Camus, Bukowski. Legge tantissimo, frequenta le biblioteche e sogna di scrivere un capolavoro. Presunzione? Consapevolezza di quanto possa l’esperienza della strada corroborare il talento? Di certo, per il randagio Max la vita non sarebbe degna di essere vissuta senza i grandi romanzi, la poesia autentica… e le donne. Una sera, al Purple Turtle, Max incontra Olivia Afrodite Tanga (!). Bellissima e vagamente esotica, Olivia, femme fatale, lo avvolge in un maelstrom di sensazioni. Max abbandona il tugurio gestito dai coniugi Trowbridge e si trasferisce da lei, presso un altro quartiere, in un appartamento dignitoso. È l’inizio di una storia allucinante, un vortice di orgasmi, gelosie, scelte avventate, lavori presi e lasciati, debiti, illusioni, viaggi abbozzati, deliri di ogni tipo. Odiando Olivia di Mark SaFranko, scrittore finalmente pubblicato in Italia grazie all’impegno di Vague Edizioni, non nasconde, non edulcora, non sottintende nulla, soprattutto in fatto di sesso.
Avevo avuto qualche donna nella mia vita, ma con Olivia Afrodite (il suo vero secondo nome) avrei imparato qualcosa di nuovo sul sesso. Insieme saremmo sprofondati nella falda della concupiscenza nuda e cruda dalle quali sgorgano estasi e follia, rinunciando allo strato superiore polveroso e privo d’interesse dell’abitudine e del dovere senza passione che la maggior parte degli umani ben conosce.
Livy, questo il diminutivo che Max le affibbia, studia letteratura e si arrabatta nel fare la cameriera. Due esistenze, in qualche modo, speculari, differenziate però dalla provenienza sociale. Livy ha alle spalle un’infanzia di agiatezza, svelata da un antico maniero di proprietà, sepolto in una desolata campagna e andato in malora con gli anni. I due amanti vi si recano, quasi in pellegrinaggio. Sono momenti di misteriosa contemplazione, per Olivia, che non scende nemmeno dall’auto e resta lì, affondata in meditazioni insondabili. I genitori sono divorziati. La madre, acida e prevenuta, ha un’agenzia immobiliare, mentre il padre, fascinoso uomo di origini italiane, vive a Newark.
Due vite talmente compatibili da risultare inconciliabili. Olivia molla l’università e pare prosciugata da ogni velleità letteraria. Max, viceversa, si butta a capofitto nella stesura di un manoscritto intitolato Il vecchio cosacco, basato sulle testimonianze di un suo vecchio collega scampato ai gulag sovietici. Più Max scrive, più Livy lo detesta. Ha paura che lui riesca in ciò che lei ha gettato alle ortiche? È, nell’intimo, solo una ragazza schiava delle convenzioni borghesi? Entrambi sono sballottati da una disavventura all’altra. Mestiere scaccia mestiere, in una sarabanda di licenziamenti, dimissioni, rincorse all’ultimo dollaro rimasto sul conto e sforzi tragicomici per depistare i segugi del recupero crediti. Nelle crepe del rapporto si intrufolano i sospetti, proliferano le incomprensioni, si sedimentano, subdole, le invidie. Il sesso può bastare a sanare tutto questo? No. Le sofferenze non elaborate di Livy, compensate da un giovanile vitalismo, sono destinate a deragliare in irrequietezza, in fastidio, in strisciante follia. Il rapporto tra i due diviene un tira-e-molla frustrante. Infine anche l’eros, sussultante di rabbia, vira verso una triste agonia.
Avevo problemi di insonnia. Non c’è peggior tortura nella vita che non riuscire a riposare in pace. Non appena spegnevo la sigaretta e chiudevo gli occhi, gli incubi davano inizio nel mio cervello alla loro parata demenziale. Creature orribili – metà umane, metà animali – dalle mascelle cascanti mi perseguitavano, chiudendomi come un topo in un vicolo cieco.
La scrittura di Safranko è fresca, scorrevole, a tratti ruvidamente lirica, vicina al parlato, un’immediatezza favorita dalla scelta della prima persona, che rende l’opera una sorta di diario di formazione, il rendiconto di un’ossessione d’amore prossima al patologico, il resoconto di un apprendistato della carne. Un uomo, Max, che come il Predicatore dell’Ecclesiaste, applica il suo cuore a investigare, tastare, toccare ogni cosa sotto il cielo, tra sentimento di vanitas, pulsione, eccitazione e godimento.
Hating Olivia regala anche momenti surreali. Max viene assunto da un’azienda telefonica. I suoi giorni passati nella pancia della balena capitalista sono a dir poco kafkiani. L’autore esplora l’assurdo, inteso come regola, non eccezione, delle relazioni interne alle grandi corporations. Essere pagati per non fare niente, giorni spesi ad attendere beckettianamente il nulla… massima sovversione della logica del profitto! Un “fallito” come Max (egli stesso si definisce tale) è l’unico ad avere la dignità di andarsene, a costo di mettere a repentaglio i barcollanti conti del bilancio di coppia, sempre tendenti al rosso.
Max è per tutti un incapace, un giudizio radicato nella madre di Livy che tracima poi nella percezione che la ragazza, troppo svelta con la carta di credito, ha di lui. SaFranko contestualizza, anche storicamente, le peripezie di Max e Livy attraverso brutali fatti di cronaca, notizie che giungono da radio e giornali, quasi ad ammonire il protagonista sugli esiti radicali della violenza: gli omicidi di David Berkovitz, il “killer della calibro 44”, il suicidio di massa avvenuto a Jonestown, Guyana, nel novembre 1978, per complessive 900 vittime…
La descrizione di bar, motel e club a bassa intensità mafiosa è vivida e restituisce, con una buona dose di ironia, il quadro di un’America periferica che ricorda un po’ le atmosfere dei film di John Cassavetes e di Paul Schrader di quel periodo, un’America popolata da gente squattrinata, da giovani alcolizzati e millantatori alla ricerca di guai e di gloria, un’America classista dove la scommessa con la fortuna può portare, in un impercettibile battito di ciglia, al lusso o al marciapiede.
Odiando Olivia è una storia che si sviluppa soprattutto tra le pareti di casa, una storia di fughe, di ritorni, di notti in bianco, di allontanamenti silenziosi, di porte sbattute, di stoviglie infrante, di scenate melodrammatiche, di gesti insani sventati per un soffio. SaFranko insiste nello squadernare all’attenzione del lettore, con lucida precisione, i meccanismi perversi della dipendenza affettiva e i dettami dell’oscura legge del desiderio. È possibile amarsi nel disprezzo? È possibile lasciarsi sapendo di essere nati l’uno per l’altro? Odiando Olivia è un romanzo sincero, impregnato di vita vissuta, celebrazione del sesso (esplicito) che atterra e suscita, che affanna e che consola. L’insuccesso, questo l’insegnamento appreso in ultima battuta da Max, è solo il preludio di un cambiamento radicale. Fallire ancora, fallire meglio! Oltre l’imprevisto, c’è la luce.
È quando abbandoni ogni speranza che tutto si rimette in sesto. La mattina mi sarei alzato da letto con la voglia di farcela, pur sapendo che ad aspettarmi ci sarebbe stato un lavoro senza futuro. La vita era un succoso pezzo di frutta zuccherina dentro il quale avevo piantato bene i denti. Non riuscivo a credere fino a che punto ne fossi innamorato.