Autore: Lee Maynard
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: Mattioli 1885
Genere: letteratura americana, Romanzo
Traduttore: Nicola Manuppelli
Pagine: 199
Prezzo: € 15,00
Lontano da Crum è un romanzo formidabile. Lee Maynard lo scrive nel 1985, primo tassello di una trilogia scandalosa. Talmente scandalosa da costare al suo autore l’esilio dalla cittadina di origine, Crum appunto. Una legge comunale proibì a Maynard di rimettere piede sul suolo natale.
Jesse Stone è un ragazzo giunto all’ultimo anno di scuola. La sua compagnia è formata da ragazzi senza futuro, senza prospettiva, costretti a scaricare la rabbia nel perimetro di poche strade fangose. I loro nomi sono duri come schiocchi di frusta: Nip, Mule, Wade, Etham, Benny, Cyrus, Ott. E poi le giovani donne del gruppo, Ruby, Yvonne, Elvira, acerbe, inebrianti, impudiche, al pari dei maschi incapaci di voltare le spalle a Crum e andare via. Perché a Crum, cencioso angolo d’America stipato di pollai e di covoni di fieno, non c’è mai niente da fare. Tuffarsi nel Tug, un fiume placido e inquinato che separa il West Virginia dal Kentucky, è il passatempo principale del periodo estivo. In inverno, qualcuno della truppa si diletta a far saltare in aria le latrine con l’esplosivo. Jesse, a volte, ha idee ‘geniali’, ad esempio rapinare i camion, alleggerendoli di carne e prosciutti, o gettare il guanto di sfida al brutale pastore Piney la notte di Halloween, bussando alla sua porta. A Crum domina un’atavica scarsità di risorse, e spunta lo spettro della fame. È un’America rurale, povera, ignorante, inabissata in un clima di noia invincibile, dove ci si accoppia come cani randagi.
All’epoca pensavo che fossimo uno lo scudo dell’altro, ma non ne sono in realtà sicuro. Probabilmente eravamo amici solo perché eravamo quelli che ci assomigliavamo di più. Forse solo perché non ci azzuffavamo abbastanza da essere nemici. Forse semplicemente perché non avevamo altra scelta. Tutto quello che so è che quando eravamo insieme facevamo di tutto per alleviare la monotonia della vita a Crum. […] Ho cercato per anni di capire come funzionassero le cose fra tutti noi e il paragone più azzeccato mi è sembrato quello con un cattivo stufato. I ragazzi erano i bocconi peggiori del piatto, oltretutto difficili da distinguere e che, se provavi ad assaggiarli, avevano il sapore di suola da scarpe; e le ragazze erano le spezie e il calore del vapore che saliva.
Dove sono gli adulti? Non si vedono, e quando compaiono sono ostili, grezzi, abbruttiti. I più lavorano in una remota miniera di carbone. Oppure sono occupati nelle poche attività permesse dal luogo: chi ha un emporio, chi fa il poliziotto, chi diventa predicatore. Gli insegnanti tendono a fuggire appena possono. Attorno a Crum sorgono i monti Appalachi, una cerniera di cime che frena lo sguardo. La cittadina si estende sul pendio di una collina, con le case, spesso fatiscenti, umili, a punteggiare le strisce di terra pianeggiante. Una linea ferroviaria attraversa Crum. I viaggiatori in transito non osano mai alzare gli occhi. Oltre il finestrino c’è la miseria, il grigio. Loro vanno altrove, verso comode case. Jesse invece resta lì, a marcire. I ragazzi del gruppo si consolano con il sesso e ingannano il vuoto fomentando l’esibizionismo dello sventurato Benny, sorta di enfant sauvage privo di inibizioni.
In Lontano da Crum il disprezzo ironico si unisce a un’ombra di nostalgia che prefigura il distacco. Niente di ciò che Jesse ha vissuto avrebbe meritato di durare un giorno in più. La negazione è, però, esente da moralismo. Ogni frammento di racconto lascia trasparire un lirismo asciutto, una nota di poesia greve e profonda. È la malinconia del finito. Da ogni rigo trasuda lo splendore capovolto di un mondo ineducato, naturale, sfrenato, immediato, refrattario a qualunque idealizzazione. Siamo agli antipodi del radical-chic. L’autore è stato protagonista e vittima di Crum, e proprio dalla marginalità esistenziale ha estratto linfa destinata a tramutarsi in denso inchiostro. Nemmeno una virgola, nella scrittura di Maynard, rischia di apparire addomesticata. La parola cade a piombo sulla pagina, precisa, netta, spietata come un retto giudizio. Nella sua prosa non si avverte compiacimento. Simile a uno schiavo affrancato che non serba rancore, Maynard, non può evitare di pensare alla sua vita nel microcosmo incantato di Crum. Ogni capitolo si impone alla nostra lettura con la compiutezza simmetrica, sbalorditiva, del diamante appena estratto dalle viscere della terra.
Eravamo di nuovo in casa. Si sedette sul bordo del divano e si appoggiò contro di me e desiderai poter stare per sempre dentro di lei. Ma i suoi sarebbero tornati presto a casa. Raccolsi i vestiti. L’aria nella piccola stanza sembrava pregna e gravida dei nostri corpi e mi chiesi se la madre se ne sarebbe accorta. Mi guardai attorno con attenzione, cercando di assorbire i dettagli della stanza, volendo ricordarla negli anni a venire. Assaporai il silenzio e il buio, il calore della stufa e il bagliore della griglia. Il gusto del latticello. E Yvonne.
Le frequenti incursioni nella sfera, anche terminologica, del sesso non sono mai scelte gratuite, né tanto meno escamotage letterari utilizzati per scioccare il lettore. Maynard scrive una fenomenologia dell’accadere, senza finzioni, in cui l’immagine di un pene eretto o la descrizione di un gioco erotico con un pezzo di mela risultano episodi compiutamente inseriti nel racconto. Benny, ragazzino disadattato che ciondola per i corridoi della scuola con i pantaloni abbassati, assume le fattezze di genius loci di Crum, la sua cifra più autentica, folle e disperata. Sconvolge, soprattutto, il senso di abbandono di un’intera comunità. In che periodo si svolgono le vicende narrate? Anni Cinquanta del Novecento? A ben guardare, solo alcuni cenni a divi del cinema, o sparuti riferimenti alla recente guerra vinta contro i tedeschi e contro ‘i musi gialli’, ricollegano il tempo privato di Crum al tempo storico, esterno, globale. Crum è un piccolo mondo triste, disancorato dalla politica, dalle svolte epocali e dalle mode. Quando Jesse decide, diploma in mano, di partire, di allontanarsi per sempre, come gesto di rottura, scala la ‘Collina della Merda’, sale sulla cima, oltrepassa i confini del conosciuto, e cinge il paese, da lassù quasi un modellino perfetto, in una visione d’insieme. Ed è allora che la bellezza di Crum gli riempie il petto. La bellezza di aver vissuto, amato, odiato, e di essere intimamente libero.
Lee Maynard, morto nel 2017, è stato paragonato a Mark Twain, a J.D. Salinger e a John Williams. È senza dubbio uno scrittore estremo, implacabile, fantastico da leggere, una penna affilata che non fa sconti a nessuno e non risparmia nulla a se stesso. Mattioli 1885, casa editrice attenta alla letteratura di qualità, ci ha trasmesso un capolavoro intinto nella crudezza. In appendice, lo stesso Maynard narra un suo ritorno a Crum, uomo adulto alla ricerca, impossibile, dell’atmosfera di quegli interminabili giorni selvaggi che segnarono la sua adolescenza.
E dov’era Benny Musser? Dov’era il ragazzo che avrebbe potuto farci arrestare tutti stando semplicemente in mezzo alla strada coi pantaloni abbassati? L’avevano rinchiuso definitivamente da qualche parte? Lo avevano cacciato dalla città? E poi ricordai. Non era mai esistito un Benny Musser. L’avevo creato io. Gli avevo dato vita e gli avevo fatto fare delle cose che, ancora oggi, offenderebbero le persone che vivono a Crum. […] Mi piaceva davvero quel ragazzo. In un altro tempo e in un altro luogo, Benny sarebbe stato un grande avvocato. O forse uno scrittore.