L’ElzeMìro – Quel che Cornelius non poté dire

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                              Thomas Anderson – The Phantom thread – logo del film

… Là dove la fiamma del camino si sperdeva… ingannando le nostre anime strette intorno al fuoco… i confini della stanza scivolavano in una nuvola più buia del buio… là io m’inoltrai e vidi … l’indicibile. Quasi sempre con questi stessi termini e nel tono rimbombante delle profezie esoteriche e delle predilette letture gotiche, Cornelius ripeteva il racconto del proprio  indiabolaménto, sic, da διαβάλλω/diabàllo-traghetto/inganno, Oltre… per le trame di sua Luminosità, diceva, Non ci si libera dal male. Dilettante di professione e organàro per necessità, a 33 anni da nove stava a rileggere Uspenskij e Lovecraft e, su ogni davanzale, mensola, scaffale di casa allineava copie e qualche originale di garguglie digrignanti, I miei fratellini, diceva spolverandone le testine; quando cominciò a sentirne le voci, i vèsperi e i bùscheri tra pareti ed impiantiti, benché da eletto, Cornelius si sentì però perseguitato. Nello specchio di quella lontana, balenante esperienza, quatta aveva trovato forma una sua personale origine delle specie; al padre, il Grande Oscuro, per gli ingenui Satana, imputava il proprio viso anamorfico su un corpo che alludeva all’insetto meglio che allo scimpanzé, Io l’Orrendo, diceva di sé, Io sono il verbo putrefatto, ossia l’autentico messia. Poiché l’ingegno umano sfida singolari vette d’imbecillità perdendosi in ascensioni che un ragno considererebbe idiote, una notte Cornelius violò l’intimità d’una chiesa, non uno di quei bunker in calcestruzzo seminati da parroci periferici su e giù per le cattoliche contrade, ma il monumento eclettico, ricco di magistrali organi gemelli, eretto tra il 1505 e il 1528 sul prato mistico di una santa apparizione, al bivio oggi tra vie e ferrovie. Orbene, nel segarlo via dal crocione dell’altare, per imperizia nel manovrarlo, il prezioso e peso Cristo legnoso scappò di mano a Cornelius, patatràc, ma senza darsi pena per i danni procurati alle belle arti e affrettandosi con trucchi di rocciatore, Cornelius si issò da sé su per la croce e s’incrodò, appeso come chissà per le due braccia, i piedi sulla mensola, pègma, che nella rappresentazione sacra reggevano quelli del suo scolpito attore. Si sa come il severo ordigno ligneo amministri gravità, fisiologia e tempo del morire; ma anche di ciò inesperto, all’alba Cornelius formicolava sì, boccheggiando vaneggiava, eppure vivo. All’apertura del tempio mattiniera, il sagrestano cacciò un, Gesù aiuto, gridò, chiamò infine il soccorso alpino. Defibrillàto, ventilato prima e poi, Cornelius fu deposto dall’albero della conoscenza. E poco dopo riprese a farneticare.

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Hanna Arendt – La banalità del male – Feltrinelli

Joris Karl Huysmans – L’abisso/Là-bas – Lindau

Ernst Jünger – Nelle tempeste d’acciaio – Guanda

Peter Weiss –Marat Sade- Peter Brook -v.o. https://www.youtube.com/watch?v=RJc4I6pivqg

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Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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