L’ElzeMìro – Mille+Infinito-Contiguità

Immàginatelo il chirurgo, bellissimo, una meteora che attraversi e sfiammi nello specchio del telescopio e anzi qualcosa di oltre lo specchio dei tuoi occhi o dello specchio sul tuo lavandino, di molto più trasparente oltre la trasparenza dell’acqua calma laggiù nel senza peso, per quanto qualcuno potrebbe obbiettare che più bello di bellissimo c’è niente o addirittura il niente o almeno un nonnulla, un petit rien ; ma di un superlativo assoluto, di un ìssimo che sa di rivestire le cose per comodo, per mancanza di un meglio oltre l’ottimo, è necessario accontentarsi. Se vuoi un’indicazione statuaria per fare un make up alla tua fantasia figurati al Bargello di Firenze il San Giorgio di Donatello e il suo David in bronzo. E più non dimandare

Su un maschio adulto, caucasico di età imprecisata ma non giovane e rannicchiato sul lettino da visita come un bambolino nella placenta, ma le mutande e i calzoni a fisarmonica sulle caviglie e con una cravatta impeccabile annodata al collo, il bellissimo chirurgo interviene per una esplorazione rettale in regime di servizio sanitario nazionale a mezzo di rettoscopio. Lo strumento, se non lo sai, se non proprio del tutto è abbastanza simile, ricorda alla lontana un dildo, o sex toy o vibratore ma non vibra e non stimola pertanto al gioco contiguità prostatiche, ma è auto-illuminante : non è il caso di dare notizia sul come si produca la luce necessaria a rischiarare la cavità anorettale in esame. Si dice che l’ispezione sia indolore ma nel caso specifico e nonostante la grande quantità di gel anestetico, lidocaina cloridrato, di cui il chirurgo ha abbondato ma proprio abbondato, l’urlo che il paziente caccia, un cronista esperto direbbe una manciata di secondi dopo l’esplorazione manuale preventiva, l’urlo, inatteso peraltro dal chirurgo, è giustificato con tutta probabilità dalla concomitanza, rilevata nel paziente in oggetto, di emorroidi congeste che il chirurgo ora esamina esortandolo, il paziente soggetto in oggetto a, Respiri respiri su su le ginocchia bene in alto, benché quest’ultimo abbia il fiato spezzato in due, tre, quattro come un ramo secco si spezzerebbe al passare di una mandria selvaggia di cavalli al galoppo, ché al rettoscopio, così pare al paziente, il chirurgo imprime oltretutto un movimento a vite che al paziente induce la reazione di un bruco sorpreso da un merlo affamato. Bravo così respiri respiri che ora esco così, il bellissimo dice al paziente che, nei pochi istanti, quanti quanti quanti, ha temuto di non potersi trattenere da ogni cosa, lacrime sangue e orina, flatulènze è chissà feci, ma si è bagnato solo di sudore, impossibile dire se gelato o tiepido ; la temperatura nella sale visita è artefatta dalla climatizzazione. Infine si sente il tonfo del rettoscopio usato nel bidone del bio-waste o di quello che è, e sia. Per qualche poco, il paziente fatica a snodarsi dalla posizione fetale, non sente più male ma il ricordo sì benché abbia riagguantato il respiro ; con un largo foglio di carta assorbente che il chirurgo gli ha porto si asciuga il grosso del gel anestetico e, mentre ricompone le mutande e tira su i pantaloni arruffati sulle caviglie e mentre o quasi nella sua mente guizza l’immagine di un accoppiamento tra squali e di una violenza sessuale tra macachi – visti documentari in merito – allora con non poco umorismo gli capita di mormorare, Bè è stata un’esperienza interessante. Al chirurgo la battuta arriva tanto da suscitargli un mezzo sorriso, un mezzo bofonchìo o un mezzo di tutto un po’, di apprezzamento. L’anestetico le farà effetto ancora per qualche ora e non si allarmi se perderà qualche goccia di sangue ; seguono refertazione e indicazioni terapeutiche annunciate con voce di provenza il mare il suol.

Il bellissimo chirurgo nel suo appartamento. Discreto, accogliente e di buon gusto e in una costruzione di dadodesign vetro e acciaio, di collina, dominante quindi il paesaggio del golfo che denota la città di… non sto a precisarti sul dov’è e com’è anche perché ti dico, potrebbe essere Genova quanto Istambul, Trieste come Batum, Marsiglia o Lisbona ; anche in questo caso lascia lavorare i tuoi desideri e asseconda la tua immaginazione, se un po’ ne possiedi, il buon gusto, idem, la cognizione di ciò che è accogliente e ciò che no, per non dire di ciò che per te significa discrimine. Bon al lavoro, aggiungo solo una cosa per situarti a tuo agio, ovvero che l’appartamento è per larga parte una vetrata spalancata sul mar, cantava così decenni e decenni fa la strofa di una canzone tutta ritornello, e dalla vetrata la vista, siamo a sera intorno alle nove ora locale, cioè quando il sole è quasi o del tutto passato oltre l’orizzonte di mare ad ovest, la vista delle innumerevoli luci di terra, nelle grandi arterie e nelle arterìole cioè nei rivoli di stradine su e giù per le colline tutt’intorno ; e quella delle luci accese qua e là a bordo delle imbarcazioni all’ancora nel porto e delle luci verdi e rosse dei bastimenti al largo, ebbene dalla vetrata la vista è una di quelle che in qualche modo portano all’umore il benessere dei sentimenti in pace. E della buona pace del chirurgo e della sua compagna, o morosa, non occorre dubitare. La donna è un africana di paese sconosciuto ma di imbarazzante bellezza ; anche lei una sommatoria tra la Paolina del Canova alla galleria Borghese di Roma, e una Sekhmet, sai la leonessa umana di basalto che sta al Louvre : niente che ricordi un’anoressica. Avvoltolati uno all’altra come meglio le lenzuola non riuscirebbero a fare, il chirurgo e la donna si ispezionano a vicenda, pelle su pelle pelle dentro pelle. C’è ridondanza di lingue, il chirurgo è all’opera alle porte della castità della donna di cui si sentono sospiri attendibili, l’esercizio si protrae e si ribalta di continuo per un tempo calcolato in defluire non di sabbia ma di salive. Oh come in questa vulva vorrei svanire, potrebbe dire il chirurgo ma non lo dice, né puoi essere sicuro che lo pensi, e chissà se pensa benché pensare non si smette mai a prescindere da quanto sia vigile la consapevolezza di quando si pensa. Forse sulla volta della sua scatola cranica come fosse volta di planetario – non ti scomodo il paragone con la volta celeste, quella grande, a grandezza naturale – forse si accendono in scintille immagini recondite, rimandi all’utero di tutte cui, nella battuta antica di Allan Königsberg, si vorrebbe tornare; brevi lapislazuli di smarrimento o di ricostituzione del cordone con il femminile interiore che è la metafora : lo specchio, cioè il vero di quello esteriore. Ammesso dalle convenzioni. Del resto restando alle specole e forse anche agli specoli, ricòrdati dei grandi telescopi come quello del monte Graham che coi suoi specchi ci vede benissimo e lontano assai. L’africana anche lei penserà qualcosa ma è presumibile per moto contrario ; forse sta tornando a una vecchia questione posta da lui una volta sul come ci si sente a essere penetrate, se consenzienti è ovvio ; prendi per dato che quella volta le è capitato di rispondere – un po’ Annie Lennox un po’ Amy Winhouse – Bè penetrate ; with no further comment. The Moon is like the moon that is all, scrisse Oscar Wilde che in questo momento nessuno, né lei né il chirurgo ha in mente ; a tutto il marasma orgònico infatti segue al suo placarsi un silenzio decantatore, una metodica risacca respiratoria. Poi la Paolina africana si srotola dal come è rimasta e va in cucina – pacifici piedi per terra cioè sul parquet – a preparare un tè alla menta. Sorseggiando poco dopo i due, Paolina e Persèo, dalle loro rispettive tazze e in ordine alfabetico, e benché a lei per un nano-secondo sfugga dalla mente il ricordo dell’accoppiamento tra squali e di una violenza sessuale tra macachi – visti documentari in merito – con non poco umorismo capita di mormorare, Bè è stata un’esperienza interessante. Poi ride del suo modo di intendere il termine interessante. Ma ti sia chiaro che, per motivi impossibili da indagare, non pare proprio una persona da poco.

Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

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