L’ElzeMìro -Il cappotto verde

 

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Qualcuno prima o poi bussa e ribussa alla tua porta, ma non è il postino. Un cappotto verde originario del Salzbùrgernacht, è uno strumento di meditazione e riparo dalle intemperanze del  clima, armato oggidì dai Farabutti, a far di Wados località di festa per balene squalo.

Quella notte il suo inconscio, per consuetudine premonitore, mandò in sogno al maestro K.S. due serpenti, cobra per l’esattezza, fra gli animali quelli di cui aveva più sacro orrore; d’altronde il Grande Dostoevskij, l’infinito possente, non scarafaggi, non virus pose a guardia dell’albero nell’Eden, ma un serpe paffuto, il cui soffio solo un’Ewa avrebbe potuto sfidare, ardita e malnata. Nel sogno K.S. si vedeva sotto una tenda beduina, accucciato su un tappeto, persiano, sentiva i due cobra gonfi strisciargli accanto non a minacciarlo però, saettavano a fauci spalancate contro cavalieri occulti ch’egli spiava nella luce funesta di un miraggio fuori dalla sua tenda e, Ach, risuonò la notte di paura con grande patassìo di stronfi, lenzuola e ciantellìne. Tra sogno e ombre della casa, indifferente all’ora bruna, K.S. caracollò al bagno, accese luci e caldaia; mentre colava l’acqua nella vasca si rase, svuotò ogni frattaglia, si lavò nel bidet il deretano; poi s’immerse e riemerse dal provvisorio Giordano, s’asciugò, si vestì, calzò cappello e scarponi, di furia riempì di cose e biancheria lo zaino da scarpinatore, s’abbottonò il cappotto verde, e allora solo lo colse il tic di guardare l’orologio, le tre. Poiché spesso il desiderio ragionevole non s’accorda con quello dell’anima selvaggia, prima di secondare l’atto con il fatto, credette d’avere qualche tempo di vantaggio; s’accomodò nella poltrona accanto al pianoforte smucinàndo un abbozzo di Musica per timpani, cròtta e glassarmònica la cui tonalità sfuggente andava nondimeno ricercando e cerca cerca s’appisolò. Tremuli araldi di un’aurora bigiolina gli uccellini gli risvegliarono palpebre e timori.

Del suo appartamento all’ultimo piano di un palazzo 1932-X E.Fᵇ, il maestro corse alla terrazza, scalò il colmo del tetto lieve e discese su quello piatto dell’edificio accanto, nella nebbia ai loro fili appese oscillavano lenzuolaª; apre la garitta sulla tromba muta delle scale poi giù giù a suole-di-para, esita alla guardiola del custode, sorda e chiusa, sfila il paletto del portone e fila per contrade periferiche fino al capolinea del 1503; al tintinting boreale del tram nella nebbia, K.S. salta su e via. Qualcuno bussava e ribussava alla sua porta.

Schermata 2017-05-09 alle 10.57.09

ªcfr. S. Quasimodo ..alle fronde dei salici per voto anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento

ᵇAnno decimo dell’era fascista, calendario fantasia introdotto dal regime a far data dal 22 ottobre 1922

Schermata 2017-05-09 alle 10.57.09

 

L.F. Céline – Viaggio al termine della notte – Corbaccio

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Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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