Il romanzo che l’ha portato in cima alle classifiche di vendite in Italia e in tanti altri paesi del mondo è “L’ombra del vento”. Ad esso sono seguite diverse fortunate pubblicazioni anche di altri generi come “Marina” e “Il principe della nebbia”, fino a riconfermare il suo successo con “Il gioco dell’angelo”. Da poche settimane è uscito il terzo libro della tetralogia, “Il prigioniero del cielo”. Stiamo parlando naturalmente di Carlos Ruiz Zafon, scrittore catalano che quest’anno per la prima volta ha presentato il suo ultimo libro in Italia, toccando diverse città tra cui Milano e Roma.
Abbiamo avuto la fortuna di partecipare all’incontro pubblico organizzato con l’autore spagnolo nel capoluogo lombardo, nel quale egli dialogava con il suo traduttore italiano Bruno Arpaia. In questo articolo proviamo a condividere con voi le intense emozioni che questo scrittore straordinario ci ha regalato rispondendo alle domande del suo interlocutore.
Lei è un autore tradotto in più di 50 lingue, questo e le classifiche di vendita sono senz’altro sintomo di un autore di besteseller. Come e quando ha cominciato a scrivere? Ma sopratutto perchè e per chi scrive? Ho letto inoltre in un’intervista che ha rilasciato recentemente qualcosa sul business dello “story telling”, ci spiega di più?
Già da piccolissimo adoravo scrivere. Ancora prima di imparare a leggere e a scrivere io nella mente già mi raccontavo storie. Non appena ho imparato a scrivere naturalmente ho cercato di mettere nero su bianco le idee che avevo e ciò che mi raccontavo da bambino.
Cercando di rispondere alla domanda sui destinatari della scrittura, mi sento di dire che quando qualcuno sostiene di scrivere per sè stesso, o mente o mente. Penso che alla fine nessuno scriva per sè stesso, si scrive perchè si desidera che gli altri leggano il frutto del tuo lavoro, altrimenti non si spiega il perchè darsi da fare così tanto per poi non voler essere pubblicato. Se non vuoi essere pubblicato penso che non abbia senso cimentarsi nella scrittura. Mi sembrerebbe di insultare il mio pubblico sostenendo il contrario. Quando avevo 14 anni già scrivevo e grazie a Dio, qualcuno ha provveduto a distruggere quelle catastrofi, quelle sopravvissute le ho eliminate io. Sarebbe stato abbastanza imbarazzante lasciarle in giro. Rifacendomi però alla prima esperienza editoriale posso dire che eravamo quattro ragazzini di 8 anni che un bel giorno decisero di fondare una casa editrice. I nostri romanzi andavano a ruba. Io naturalmente ero lo scrittore, ma ognuno aveva il suo compito. Sul contenuto posso solo dire che erano pieni di sangue già a pagina 2 o pagina 3, il resto è meglio dimenticarlo. Quando si parla del business della narrativa intendo proprio il fatto di trovarsi in questo mondo e provare a vivere del proprio lavoro di “cantastorie”. Io credo molto in quello che faccio. Anche perchè, diciamocelo francamente, le alternative in cui i lettori possono imbattersi sono tantissime, se qualcuno decide di intraprendere la lettura dei miei romanzi e dedicarmi anche solo un’ora mi devo curare di non deluderlo.
Lei si è cimentato nella scrittura di libri che oggi definiremmo “young adults”, quelli che una volta venivano definiti libri per ragazzi. Come si è avvicinato a questo genere?
Non ho mai pensato di scrivere libri per giovani. Pensavo di non aver la testa nè tanto meno le capacità. Casualmente ho visto su un giornale spagnolo un concorso che una casa editrice stava per indire. Era un premio letterario di narrativa per ragazzi e l’azienda promotrice era la più grossa casa editrice di testi scolastici spagnoli. Essa desiderava annoverare nuovi generi al proprio catalogo, allargando così i propri orizzonti. Ho pensato quindi che fosse arrivato il momento di provarci. Dopo qualche mese mi chiamarono dalla casa editrice: il premio mi era stato assegnato. Per la prima volta in Spagna si attribuiva un premio ad uno scrittore totalmente sconosciuto. Quel libro era “Il principe della nebbia”.
Parliamo adesso dei suoi lavori che l’hanno resa famoso. Cosa ci può raccontare della sua tetralogia? Come le è venuta questa idea? Aveva già in mente tutti gli intrecci della sua narrazione quando ha cominciato a scrivere “L’ombra del vento”?
Sono partito dall’idea di voler fare qualcosa che mi intrigasse, che mi prendesse la testa. In quel periodo vivevo in California. A Los Angeles c’era un fenomeno davvero importante, un sacco di negozi di libri di seconda mano. Questi luoghi erano un po’ sinistri, sembravano delle catacombe di libri. Sembrava che in questi luoghi non si volesse dimenticare il passato. Noi siamo ciò che ricordiamo e meno ricordiamo meno siamo. Con queste immagini nella testa ho pensato di sfruttare questa idea e ho trovato una storia da raccontare. E’ così che ha preso vita questo grande progetto. Certo, la lunghezza un po’ mi spaventava… il mio primo pensiero è stato immaginare un libro di migliaia di pagine. Mi sono subito intimorito. Per questo motivo ho pensato fosse il caso di dividere l’idea originale. L’ho smembrata e poi inserita in quattro storie, collegate come se fosse un labirinto. Solo alla fine il lettore deve trovare la chiave interpretativa corretta, il famoso ultimo pezzo del puzzle. La curiosità penso che sia rappresentata dalla figura del narratore del romanzo, differente in ogni libro.
Se avrete la fortuna di poter incontrare questo autore catalano vi consigliamo di non lasciarvi sfuggire l’occasione.