Autore: de Majo Cristiano
Casa Editrice: Ponte Alle Grazie
Genere: Romanzo
Pagine: 241
Prezzo: 16,50
Alla fine della lettura di Guarigione, il lettore non può che trovarsi d’accordo con gli strilli in evidenza sulla fascetta rossa che abbraccia la copertina: Cristiano de Majo è “uno degli autori più originali e ambiziosi del momento” paragonabile a “Borges, Calvino, Perec, Queneau”. Partendo dal dato biografico (un tumore al testicolo, un aborto, l’inaspettata gravidanza di due gemelli, uno dei quali nascerà affetto da una malattia genetica della pelle), l’autore intreccia continuamente il bios dell’essere umano all’èidos dell’esistenza, declinando le sfumature del reale attraverso esperienze, pensieri e riflessioni. La prosa disincantata e asciutta non sminuisce la carica emotiva del testo, bensì la esalta: “Tendo a pensare, invece, che la cosa abbia più a che fare con il rapporto tra letteratura ed esperienza. Per anni sono stato un appassionato lettore di complicate costruzioni cerebrali e, anche se non sento il bisogno di rinnegare i miei vecchi amori letterari, ho la sensazione che, diventando più vecchio e accumulando sempre più esperienze, stia cercando una letteratura che mira a rappresentare la complessità della vita anche sul piano piano emotivo. Una letteratura che parla di dolore, di perdita, o anche di amore e di felicità in modo esplicito” (p. 125).
Ben lontano dall’esposizione pornografica del dolore, Guarigione parla della malattia come luogo di accesso e chiave della vita (e non solo come sua negazione), intercettando la metafora del deserto (luogo emblematico anche per le vicende narrate) come tabula rasa, sì, ma anche come punto d’osservazione per eccellenza di possibilità infinite. In questo viaggio nella carne, molte sono le parole chiave che nel procedere riflessivo subiscono una risemantizzazione ad personam: dolore, paternità, malattia, colpa, amore, rapporti con gli altri, gestione del proprio tempo, ricordo, nostalgia e morte. De Majo non cade nella banalizzazione enciclopedica della schematizzazione, non prevede una netta suddivisione in parti del libro (che sono Dopo, Prima, Incredulità, Responsabilità, Sulle tracce del lupo) corrispondente ai temi trattati, così come non imposta volutamente un modo per affrontarli e uno stile cui affidarli. Il racconto biografico s’intreccia e si sovrappone a quello diaristico, alla citazione, al ricordo, alla riflessione filosofica, alla ricerca, all’interdisciplinarietà, alla confessione e al viaggio, polverizzando l’idea di genere letterario a favore della letteratura tout court. Con l’intenzione di oltrepassare la convenzione narrativa del patto di finzione tra scrittore e lettore, l’autore tesse una serie infinita di collegamenti ipertestuali, uscendo, per poi rientrare, dal Reale come farebbe l’ago che guida il filo di sutura.
Senza mai banalizzare, l’interrogativo, più o meno esplicito, che si rincorre tra le righe del testo è l’esistenza di un oltre (non un aldilà) rispetto al corpo, la cui spia è rintracciabile in quella particolare speciazione del destino che va dalla predeterminazione del proprio daimon alla caparbia capacità evoluzionistica dell’uomo: “Si tende a inquadrare la credenza nel destino in un rapporto di proporzionalità inversa con il livello socio-culturale, ma è più interessante osservare come ognuno di noi percepisca il destino con un diverso grado di intensità a seconda dei momenti della vita. In tempi diversi, la stessa persona può sentirsi totalmente preda delle decisioni del destino così come completamente padrona della sua vita” (p. 115). La lucida frammentarietà dei contenuti ricompone un insieme vivo e mobile, rivivendo il riflesso dell’altro (moglie, figli, amici e genitori) in quanto persona e non personaggio nell’alternanza delle imprevedibilità del vivere. Risalendo controcorrente il flusso contemporaneo del trauma come finzione, la scrittura estrema di de Majo ristabilisce il corretto rapporto di rispondenze tra realtà e rappresentazione, poiché la letteratura, ieri come oggi, non genera e non si sostituisce alla biologia (abusata la metafora dell’opera come filiazione dell’artista), bensì, al pari delle scienze esatte, rigenera e cura, rende possibili modi sempre nuovi di guarigione.