Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Andrea Corona, autore del libro Rebus, recensito sulle nostre pagine. Un’opera dalle mille sfumature che contiene molte chiavi di lettura.
Un libro intrigante che cela al suo interno molti messaggi filosofici ed esoterici. Perché questa scelta?
Perché sono fermamente convinto che un testo di narrativa che si proponga di essere una buona lettura debba rispettare alcune regole “di buona educazione” nei confronti del lettore. Così, quando sono alla tastiera del portatile, mi impegno a non scrivere mera letteratura d’evasione, o il lettore, terminato il romanzo, non saprà più cosa farsene e finirà con tutta probabilità per scambiarlo, rivenderlo, o fargli prender polvere su una mensola. Parimenti, mi impegno a non cadere neanche nel baratro opposto e scrivere dei mattoni didascalici, didattici o zeppi di orpelli di carattere moraleggiante. Ciò in quanto il mio proposito è quello di offrire al lettore una storia che sia innanzitutto avvincente, e che veicoli poi, per quanto possibile, dei significati pregnanti (soprattutto nel sottotesto, così che i significati non vengano dichiarati ma solo indotti nel lettore).
Luis Borges e Philip Dick, quanto hanno influito questi autori nella stesura della tua opera.
Borges e Dick rappresentano certamente dei riferimenti imprescindibili, insieme a Kafka, Zweig, Beckett e altri narratori da me amatissimi; ma la stesura di “Rebus” deve molto anche alla saggistica di matrice psicologica e spirituale (e qui, forse, il lettore farà più fatica a rintracciare le fonti).
Oltre ad essere un autore sei anche componente della Corrente letteraria degli Alieni metropolitani. Cosa vuol dire per te essere un alieno?
Vuol dire far parte di un gruppo meraviglioso. Gli Alieni metropolitani sono accomunati da una sensibilità di fondo e da uno spirito critico nei confronti del nostro tempo. Con l’eleganza che li contraddistingue, e senza mai sfociare nel trash letterario (proprio di quegli scrittori che si abbandonano al disprezzo e al disgusto della vita fine a se stessi), gli Alieni si impegnano a descrivere e ritrarre, in modo talvolta ironico, talaltro malinconico, ma sempre attraverso uno sguardo obliquo, i vizi della società contemporanea e dell’io edonista e narcisista. Il tutto con un occhio sul destino, tecnologico e anche morale, dell’uomo postmoderno.
Quando hai pensato a Rebus, hai voluto creare un gioco o un dramma esistenziale?
Il mio romanzo è effettivamente un gioco e un dramma insieme, come lascia intuire Sofia, uno dei personaggi di “Rebus” che ho più amato, quando parla del grande Gioco della vita.
Dietro la narrativa si cela la filosofia. Pensi che sia impossibile scindere le due cose?
Credo sia semplicemente impossibile creare una storia – molto o poco elaborata che sia – se non si è mossi da una qualche filosofia, in qualsiasi senso si voglia intendere questa parola. Del resto, anche nella vita quotidiana, la nostra mente non smette un attimo di valutare, soppesare, giudicare, fantasticare e, in breve, raccontarsi delle storie, fino a creare un sistema di convinzioni, di valori, e così via.
Cosa vuoi creare nella mente del lettore?
Voglio indurre un effetto simile a quello ricercato da Massimo Bontempelli, autore di prima grandezza nonché fra i primi e più accreditati esponenti del realismo magico italiano, quando affermava che “La vera norma dell’arte narrativa è questa: raccontare il sogno come se fosse realtà, e la realtà come se fosse un sogno”.
Editoria italiana e scrittori emergenti, un matrimonio difficile. Qual è la tua opinione?
Penso che gli autori siano esposti tra due fuochi. Da un lato, vi sono gli editori a pagamento, che pubblicano qualsiasi cosa purché l’autore metta mano al portafogli; e dall’altro vi sono gli editori non a pagamento, i quali, proprio per via delle finanze limitate, non sono comunque in grado di fornire quei servizi che dovrebbero invece garantire per contratto. In Italia la difficoltà non sta nel trovare un editore, ma nel trovarne uno che sappia fare davvero il suo lavoro e che rispetti effettivamente i contratti. E la Milena Edizioni di Napoli, per mia fortuna, rientra in quest’ultimo discorso.
Perché scrivere?
Nel mio caso specifico, la narrativa costituisce un pretesto per l’esercizio del pensiero critico – esercizio non solo mio ma anche di coloro con cui ho il piacere di confrontarmi e che spesso stuzzico e stimolo nel corso delle presentazioni e, perché no, delle interviste. Grazie a “Rebus” porto in giro la mia filosofia, la quale, tengo a precisare, si arricchisce dall’incontro coi lettori. Senza la scrittura, del resto, non esisterebbero la lettura e la condivisione di idee.
Progetti per il futuro?
Per rispondere a questa domanda mi occorre soffermarmi un attimo sulla parola “progetto”. Il progetto, semanticamente e concettualmente, indica e implica già da sempre l’esser proiettati verso il futuro: la progettualità, non a caso, non ha a che fare con la mera presenza bensì col tempo futuro; non con la mera sussistenza ma con l’esistenza, indicando una direzione che va oltre l’immanenza del sub-sistĕre, in favore, appunto, della trascendenza dell’ex-sistĕre. Grave errore sarebbe allora vivere alla giornata, perché si tratterebbe appunto di un falso vivere, di uno “stare”, di un giacere sussistendo. I tedeschi usano il verbo “liegen” per indicare il giacere passivo, quello, per intenderci, di chi sta ad esempio seduto su un divano. Ho fatto questa premessa perché oggi si fa un gran parlare di “contratti a progetto”, quando si tratta esattamente di quanto più lontano possa esserci dalla dimensione della progettualità. Ecco perché ho scelto di vivere in modo da avere sempre una mano protesa verso il futuro; ed ecco perché alla domanda “Progetti per il futuro?” non risponderò elencando una serie di aspettative sul futuro prossimo, ma ti rispondo con un “Sì” deciso, rivolto però al futuro remoto.
Un saluto a Gli amanti dei libri.
Cari amanti dei libri, vi saluto con tutto l’affetto e la stima di cui sono capace, perché mi sento decisamente uno di voi. Buone letture a tutti!
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