Grandi Riflessi: Pier Paolo Pasolini – Ragazzi di vita

Titolo: Ragazzi di vita
Autore: Pasolini PIer Paolo
Genere: Letteratura

Nel 1955 Pier Paolo Pasolini pubblica il suo primo romanzo, Ragazzi di vita, ottenendo un immediato successo di pubblico che lo porta a diventare, nel giro di pochi anni, uno dei personaggi più in vista del panorama intellettuale italiano. L’immediata notorietà si accompagna però anche ad una critica durissima verso i contenuti talvolta scabrosi dell’opera: in particolare, il tema della prostituzione maschile scuote e scandalizza l’opinione pubblica, tanto che l’autore dovrà subire un processo a seguito della denuncia accolta dalla Magistratura di Milano per il carattere pornografico del libro. L’assoluzione sarà piena, anche grazie agli autorevoli interventi di Carlo Bo e di Giuseppe Ungaretti in favore dello scrittore e della sua opera, giudicata anzi ricca di valori religiosi e priva di elementi osceni in quanto semplicemente aderente alla realtà quotidiana dei ragazzi di borgata.

Nell’anno delle celebrazioni dei quarant’anni dalla scomparsa di Pasolini, può essere interessante riprendere in mano questo libro che ha segnato un punto di svolta nella carriera dello scrittore avvicinandolo progressivamente a modalità narrative che, negli anni ’60, daranno luogo ai suoi più importanti successi letterari e cinematografici.

Il romanzo si sviluppa da un nucleo di racconti composti a partire dal 1950, nei primi tempi del suo soggiorno romano: di questa forma originaria risente infatti la struttura narrativa che, priva di un centro tematico fortemente unitario, procede per episodi indipendenti distribuiti nell’arco di diversi anni. Ciò che unifica gli otto capitoli sono i «ragazzi di vita» che danno il titolo al romanzo, i giovani sottoproletari romani che vivono alla giornata, destreggiandosi abilmente tra piccoli furti e trovate disoneste. La narrazione segue le avventure dei ragazzi nello spazio contraddittorio della Roma post-bellica, dai luoghi monumentali del centro alle periferie più degradate, abitate da un’umanità semplice, quasi primitiva. Il narratore, occhio esterno che tratteggia e descrive senza mai intervenire con commenti personali, ci mostra piccoli quadri della vita quotidiana dei giovani romani, che divengono simbolo di una generazione e di un’età di passaggio. Conosciamo così il Riccetto, il Caciotta, il Lenzetta, il Begalone: personaggi appena sbozzati la cui precisa identità psicologica resta volutamente poco definita, maschere che improvvisano tra situazioni comiche e avventure picaresche, ma che talvolta si imbattono nel dolore insensato della morte.

Tra tutti, il Riccetto è quello che più si avvicina al ruolo di protagonista: il lettore lo incontra appena ragazzino già nel primo capitolo, nel giorno della sua prima comunione, «coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca» che assomiglia a «un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare» (p. 15). È un giovane scanzonato, dalla fortissima carica vitale, che si distingue però anche per la sua generosità, tanto che, in un episodio-chiave del romanzo, si getta nelle acque del Tevere per salvare una rondine che sta affogando. Il lettore lo segue passo passo nella sua crescita: prima delinquente che vive di espedienti insieme ai suoi amici, poi, progressivamente, giovane uomo che ha messo la testa a posto e che si guadagna da vivere lavorando. È un percorso di maturazione che comporta però una perdita di autenticità e di umanità: ciò emerge con chiarezza nel finale in cui lo vediamo assistere indifferente alla morte del piccolo Genesio tra le acque torbide dell’Aniene in un episodio ricco di pathos che fa da contraltare all’episodio iniziale della rondine. Il Riccetto si adegua dunque ad un modello borghese che per Pasolini corrisponde ad un modo, corrotto e cinico, di intendere la vita. Integrazione e disincanto: questo il destino che aspetta i ragazzi di vita e, dunque, tutta la generazione che, uscita dagli orrori della guerra, si avvia verso la stagione della ricostruzione e dello sviluppo economico.

Pasolini, con questa opera straordinaria, consegna alla letteratura un mondo assolutamente anti-letterario e lo fa immergendovisi totalmente, fino quasi a confondercisi. Da qui l’uso di una lingua sporca, fortemente marcata dialettalmente che persegue il fine della mimesis descrivendo un mondo dal suo interno: un’operazione linguistica e letteraria complessa che ha saputo però unire armonicamente uno strenuo impegno filologico ad una commossa adesione alla realtà.

 

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