Genere: Romanzo
Pagine: 393
Prezzo: 16,40
“Piccolo e tondo, molle come taleggio fresco, uso a passeggiare per Bellano picchiettando in terra una canna di bambù e guardando ogni cosa, lago e montagne comprese, come se lui fosse il padrone, il commerciante di vini e vicesindaco Amedeo Torelli era un doppiogiochista di rara abilità: lo sapevano bene i suoi fornitori ai quali da anni recitava la manfrina di piagnistei e minacce secondo che dovesse pagare oppure ottenere la merce”(p.27)
Siamo nella Bellano del 1949 e il nostro protagonista da una parte imbonisce gli elettori assumendo cariche e carichette di importanza strategica (membro dell’Ente Comunale Assistenza, responsabile della monta taurina e fiduciario del sindaco per la lotta contro le mosche), dall’altra imbroglia gli acquirenti arricchendo i suoi vini con una generosa quantità di acqua di fonte.
I suoi ambiziosi obiettivi potrebbero essere rovinati dall’arrivo in treno a Varenna di Marta Bisovich, “una bella pollastra. Età tra i diciotto e i venti, anno più anno meno, giovane come l’acqua comunque”. Occhi-scuri, capelli corvini.” Una bellezza arabeggiante”. (p.7) Pizzicata senza biglietto dal controllore cerca un uomo di sua conoscenza, un certo Nonimporta, che nessuno sa chi è, tranne lui ovviamente. L’incontro con la signorina è avvenuto in circostanze che è bene rimangano nascoste, così Torelli è costretto a varie manovre e sotterfugi per non indispettire l’arcigna moglie Mercede. “Era sospettosa di natura e del sospetto aveva disegnate in viso le caratteristiche: gli occhi sempre stretti in una fessura e il capo sempre un poco girato verso destra quando ascoltava qualcuno, come se nel suo orecchio sinistro fosse inserito un filtro in grado di separare verità e bugia”. Da signorina faceva la maestra e aveva “due vezzi o abilità: fumare sigarette prive di filtro senza tossire e tirare cancellini, libri e anche sassi con un’invidiabile mira”. (p.55)
La vicenda, che parte da una concitata scena in stazione, si dipana in gran parte nella bottega del droghiere Elpidio Santommaso impegnato nell’espansione della sua attività e vittima del desiderio di affermazione del vicesindaco, ma anche delle ambizioni della moglie Emma.
Come avranno capito i lettori affezionati di Vitali anche in questo romanzo troviamo personaggi memorabili, dai nomi astrusi ed azzeccati, che si muovono da vittime o carnefici, prede o predatori,nella tranquilla vita di provincia in cui tutto cova sotto la cenere. Noi lettori li osserviamo da vicino e ci sembra di camminare con loro per le strade o di trovarci in un angolo delle stanze in cui discutono. Ne possiamo anche seguire le tracce attraverso i vezzi o i profumi, che marcano inequivocabilmente la loro presenza. Così accade con l’inconfondibile dopobarba del notaio Delabrè, personaggio secondario che assume una certa importanza nei loschi affari del Torelli.
La riflessione socio-economica che sottende alla trama diventa sempre più marcata mano a mano che la storia avanza e le conseguenze delle azioni dei protagonisti si fanno pesanti. Il ricatto, che fa leva sull’ambizione, è un tema di fondo e l’autore non perde l’occasione per mettere a nudo i sordidi meccanismi della politica di quell’epoca (e non solo…).
Alla fine i carabinieri (ritorna il Maresciallo Pezzati, protagonista di “Un bel sogno d’amore”) e il prevosto, insieme ad un uomo sbucato direttamente dal 1943, l’ex-fascista Vaninetti non certo benvisto in paese, saranno uniti nel risolvere la situazione complessa e anche drammatica che si è creata, dando così a questi meccanismi di confidenze e confessioni della vita di paese una funzione di giustizia e di equilibrio.
Il romanzo di Vitali risulta perfettamente calibrato in toni e registri, alternanza tra pause descrittive minuziose o dense, a seconda dei casi, e accelerazioni del ritmo narrativo: da commedia il tono si alza e diventa tragedia con naturalezza: si arriva quindi allo scioglimento finale con la consapevolezza che la vita riserva sorprese amare, ma anche dolci.
L’autore ci regala un’altra storia formidabile, raccontata con la consueta passione, che rimarrà impigliata nella nostra memoria perché la sentiamo autentica.