A tu per tu con…Ryan Gattis

È uscito nelle librerie Giorni di Fuoco, di Ryan Gattis.ryan gattis Ultimo libro del giovane autore californiano – ma suo primo ad essere pubblicato in Italia – ci trasporta nella Los Angeles del 1992 durante quei giorni in cui – tra scontri, saccheggi, e regolamenti di conti – la città fu preda della violenza e della devastazione. La scintilla che causò l’esplosione della violenza fu il proscioglimento dei poliziotti coinvolti nell’uccisione del giovane afroamericano Rodney King, ma – come ci dice Ryan – le cui ragioni profonde giacevano nell’accumularsi di storie come quella in ogni quartiere della città. Un Libro intenso e molto forte, frutto di due anni e mezzo di ricerche, a metà tra il resoconto storico e il romanzo. Abbiamo incontrato l’autore per parlarne un po’ con lui.

Da dove nasce il desiderio di voler scrivere un libro per raccontarci di quei giorni, così duri per Los Angeles? Prima di tutto dal fatto che Los Angeles è la città in cui vivo. E già guardando la televisione, quando ero più giovane, rimasi colpito dalla intensità della violenza che si era raggiunta in quei giorni, ma non credevo che la questione potesse essere ridotta a quella che era la narrativa delle tensioni tra bianchi e afroamericani. Era qualcosa che riguardava tutti i gruppi etnici, nessuno escluso. Volevo quindi raccontare le cose con una prospettiva differente, andando oltre la narrativa dominante della questione bianchi/neri. Volevo dare visibilità a zone della città che anche se invisibili non sono vuote, ma abitate da persone vere, terreno di storie che a sentirle mi ricordano quasi quelle “epiche”…

Nel tuo libro uno dei protagonisti è la città di Los Angeles, di cui ci parli attraverso la descrizione di luoghi, di odori… Perché decidi di raccontarci della città proprio attraverso quei giorni? Perché è stato attraverso quei giorni – per la città così distruttivi e al tempo stesso formativi – che sono state spazzate via alcune vecchie strutture e schemi. Io nel mio libro descrivo quella che è la realtà di una città che non è possibile comprendere senza capire quanto sia multiculturale, e come le differenti dinamiche di crescita dei diversi gruppi siano destinate ad influenzare i rapporti di forza.

Alla Fine del tuo libro definisci Los Angeles una città sopravvissuta: cosa intendi dire? Intendo dire che la città sopravvivrà, evolvendo, cambiando. Quelli legati alla convivenza di diversi gruppi etnici sono problemi che la città si porta dietro da sempre. Anno di scontri non fu solo il 1992, prima c’erano stati i disordini razziali del ’65, quelli negli anni ’30 o quelli contro i lavoratori cinesi del 1880. Sono schemi che si ripetono e da cui la città sembra non riuscire ad imparare. Certo che nel 1992 gli scontri sono entrati nelle case di tutti, attraverso la televisione, quindi anche chi non viveva nei quartieri “malfamati” della città ha potuto vedere cosa stava succedendo. La questione che sta alla base di questi scontri non è razziale, ma riguarda la giustizia. Il problema è che esiste un Rodney King in ogni quartiere. Il problema è che, se lo Stato che dovrebbe fare giustizia di fronte a casi di abuso di potere da parte della polizia non riesce a incriminare i poliziotti, le persone perdono fiducia, e la rabbia sale. Il problema risiede nella mancanza di scuole, di ospedali e di lavoro. È in queste mancanze che si generano le tensioni razziali. Il problema nasce dove molte persone hanno molto poco da perdere, perché non hanno avuto nulla con cui partire.

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