Il nostro incontro con Roberta Marasco si svolge a Milano, zona Porta Venezia, in un particolare angolo della città chiamato “La teiera eclettica”, qui è possibile degustare una varietà infinita di tè, presentati in maniera minuziosa e passionevole dal proprietario del negozio. Un luogo che perfettamente si addice a “Le regole del tè e dell’amore” di Roberta Marasco . La nostra chiacchierata in realtà ha inizio con un piccolo ed inaspettato aneddoto riguardante proprio l’autrice, che ci racconta di non essere una grande esperta di tè, ma di aver sempre in qualche modo temuto il mondo a cui questa bevanda appartiene: “Ho iniziato a scrivere, sapendo poco e nulla di tè, che però mi affascinava molto: il tè mi ha sempre trasmesso una sorta di rispetto, come se per gustarlo fosse necessario seguire delle regole e dei riti che non tutti conoscono. Io apprezzo il tè in tutte le sue qualità, ma lo faccio sempre in modo abbastanza selvaggio, anarchico..”
Una paura, quindi, che fa nascere un’idea e realizzare un romanzo. “L’idea è stata quella di raccontare di qualcosa a cui ti vorresti avvicinare ma, per paura delle regole, per paura di non farlo bene, non lo fai del tutto… In quante altre occasioni, in quante altre situazioni ci succede la stessa cosa?”
Roberta Marasco vive in Spagna, in un piccolo paesino a 50 chilometri circa da Barcellona, chiamato San Pol de Mar. Ha deciso di trasferirsi lì poco più di dieci anni fa, nella terra originaria di suo marito: è qui che ha continuato a lavorare come traduttrice, grazie alla grande flessibilità di questo impiego, e con qualche occasionale rientro in patria.
“Mi piaceva raccontare di una famiglia di sole donne, che rimangono tali dopo la scomparsa del padre, e che hanno sempre fatto fatica a volersi bene apertamente, nonostante il sentimento ci fosse. Un rigore nel trattenere per sé le emozioni, senza farle trasparire troppo.”
Com’è il tuo rapporto con tua figlia in quanto ad emozioni? Anche tu assomigli a tua madre ed alla mamma di Elisa, trasmettendole rigidità nei confronti delle emozioni, o cerchi di fare il contrario?
Non lo so, temo che a mia volta io possa far lo stesso, e credo che comunque inevitabilmente qualcosa passi. E’ come se trovassi sempre qualcosa di sconveniente nel lasciarsi andare, però quella che meglio di chiunque potrà dirlo è mia figlia, perché io la vedo dall’interno, in maniera soggettiva.
A quanti anni, o comunque all’incirca quale è stato il momento della tua vita, in cui hai capito di dover ascoltare le tue emozioni? Ci sono tante donne che si ritengono “ormai troppo grandi”, c’è sempre tempo per percorrere una nuova strada con se stesse?
Sì, io credo che sempre ci sia una possibilità, c’è sempre tempo per riscattarsi a livello di emozioni. Io poi ho una mia teoria che è il “femminismo rosa”, per la quale sono convinta che in qualche modo la felicità delle donne sia sempre castigata. Ed io per prima se mio marito mi trova a casa sdraiata sul divano a fare niente, mi trovo sempre in qualche modo in colpa. E per cui capisco queste donne come si sentono, in quale condizione si trovano.
Ci racconta della sua “teoria dello strofinaccio”, sulla base della quale poi si costituisce il femminismo rosa che Roberta Marasco si sta impegnando a diffondere e sviluppare: la teoria dello strofinaccio consiste nell’atteggiamento che vede la donna, sempre ed in qualsiasi caso, giustificarsi nei confronti del “dolce far niente”. Ovvero, fin dalla giovinezza delle nostre nonne, sappiamo – anche inconsciamente, ndr- che è bene tenersi sempre accanto uno strofinaccio in simbolo di occupazione ed impegno casalingo, così che nel momento in cui un uomo entra in casa non ci veda mai “a pancioni sul divano”.
A proposito del femminismo rosa: il genere maschile che tanto vuole vedere la donna attiva e indaffarata, lo ha fatto nella storia e lo continua a fare consapevole che se al mondo femminile fosse lasciato più spazio, la loro figura verrebbe sopraffatta? Si può dire invidia quella dell’uomo, nei confronti della donna che sa bastare a se stessa?
Che domanda difficile. Le donne secondo me hanno una capacità di reinventarsi, di fare tante cose allo stesso tempo, che gli uomini generalizzando non hanno. Ma secondo me non è tanto una questione di invidia, è che, anche nelle situazioni di vita quotidiana – parlo riferendomi anche alla mia esperienza di trasferimento all’esterno: è quasi sempre la donna che si adatta, ma perché è lei che ne è capace nella coppia. In tutte le coppie vedo situazioni più o meno simili, la donna è quella che appunto si sa reinventare: con la crisi, per esempio, e in particolare mi riferisco al mercato immobiliare, in Spagna è stata creata una piattaforma che ha dato vita ad una rete femminile di solidarietà che si proponesse a sostegno e a supporto delle perdite della casa a causa dell’ipoteca. Gli uomini perdevano il lavoro, e per mantenere una certa stabilità all’interno del nucleo familiare, è stata la donna a mettersi in gioco, sia per necessità, sia proprio per capacità.
Ci hai detto che Roccamori è un paese inventato, che però in qualche modo si rifà a Sant Pol de Mar, dove ti sei trasferita: c’è molto dell’autobiografico in questo libro? L’attenzione e la profondità con cui descrive il mondo del tè, leggendo quello che scrivi mi fa pensare ad un’autrice che vive queste esperienze, c’è del reale?
Sì, c’è sicuramente un po’ della mia vita. Soprattutto per l’aspetto riguardante la casa al femminile, perché io avevo un papà ovviamente, ma da quando non c’è più ho vissuto molto questa situazione di famiglia di sole femmine. Per cui un po’ questo, un po’ la questione della felicità vissuta con moderazione, si riconducono alla mia esperienza personale, perché mia mamma con me l’ha sempre fatto; quando è uscito il libro mi ha fatto i complimenti ed era contenta, ma da subito mi ha messo in guardia su quello che mi poteva aspettare.