“Lucio Battisti, come Mozart, ha sovvertito ogni regola musicale“”. Pietruccio Montalbetti, chitarra leader dei Dik Dik, autore della biografia “Io e Lucio Battisti” (Salani Editore) ricorda così l’amico artista. Montalbetti sarà ospite de Gli Amanti dei Libri a Besozzo (Va), nel cortile del Comune in via Mazzini 4, venerdì 12 luglio alle 21, per presentare il suo libro e per cantare le canzoni di Battisti e dei Dik Dik. Lo avevamo già incontrato al Salone del Libro di Torino.
In questi anni sono stati scritti diversi libri su Battisti, ma quello che ha scritto lei parla del Battisti non ancora famoso. Che tipo era?
Lucio era una persona di una semplicità assoluta, amava le cose semplici e la natura, ma non era semplice nella musica; al contrario era complesso nella sua genialità. All’inizio le sue canzoni erano orribili, ma io gli volevo bene e non glielo dicevo, anche se dentro di me mi chiedevo che fine avrebbe fatto. Poi l’incontro con Mogol ha aperto lo scrigno di Lucio.
In cosa consisteva la genialità di Battisti?
Lucio Battisti può essere paragonato a Mozart perché ha sovvertito ogni regola, come ricorda anche Renzo Arbore nel commento contenuto nel mio libro. Pensiamo alla canzone “Vendo casa”, che contiene la genialità del partire dal terzo accordo: anziché seguire lo schema classico 1, 2, 3 e 4, Lucio parte da 3 per poi proseguire con 4, 2 e 1, ottenendo un altro suono, semplicemente partendo da un altro accordo.
Nel libro racconta come Battisti non amasse stare in mezzo alla gente.
Lui era una persona molto semplice e schiva che voleva vivere la sua vita; il ruolo di rock star non gli si addiceva proprio. Anch’io quando ero primo in classifica, pur facendo parte di un complesso, ero seguito, tanto che una sera a cena con Maurizia Buccella venni fotografato e si parlò di un fidanzamento, cosa assolutamente non vera. Ecco, queste cose a Lucio non piacevano. Una sera andammo a cena a Lecco; entrammo al ristorante e venne subito riconosciuto da tutti, ma lui negò bruscamente di essere Lucio Battisti e io gli ressi il gioco.
Com’è nato il mito di Lucio Battisti?
La sua crescita è merito di Mogol che pur essendo stonato e non capace di suonare, ha capito come far scaturire la forza che Lucio aveva dentro di sé; Mogol è riuscito a trovare la combinazione della cassaforte. Lucio è stato uno dei pochi artisti a non ripetere mai sé stesso; anche l’ultima fase artistica, quando si legò con Panella, va letta in questo senso. Il divorzio da Mogol avvenne non per denaro ma perché Lucio da pittore romantico voleva diventare un impressionista. Lucio non ha mai copiato gli inglesi, anzi ha creato un nuovo mondo musicale; le sue canzoni sono sempre diverse.
Com’è stata l’ultima fase della vita di Lucio Battisti?
Lucio non aveva paura della morte ma temeva di non lasciare qualcosa che lo rendesse immortale; direi che ci è riuscito perfettamente attraverso le sue canzoni che lo hanno reso immortale. La sua morte mi ha fatto soffrire molto e mia madre, che gli voleva molto bene e lo aveva accolto a casa nostra, ha sofferto come gli fosse morto un figlio.
Quando va nelle piazze o nei teatri a parlare e cantare Lucio Battisti, qual è la reazione del pubblico?
Battisti è vivo attraverso la sua musica; ha lasciato una grande eredità musicale che la gente ed il pubblico amano e che non dimenticheranno mai. La parola revival, che usiamo solo noi in Italia, non mi piace. Quando vado alla Scala a sentire il Nabucco di Verdi, non vado ad assistere ad un revival ma al Nabucco, che ogni volta ti dà sensazioni nuove. Lo stesso discorso vale per le canzoni di Lucio Battisti.