La scuola deve essere cambiata per il bene dei ragazzi. “Non mi piace vivere sotto una cappa e fare la tartaruga. Lo trovo soffocante. Soprattutto una cappa così massiccia, stratificata da anni e anni di incrostazioni mentali collettive. Volevo provare a uscire, andare a guardare il sole, e così mi sono permessa di avere delle idee culturalmente scorrette”: è ciò che dice a gran voce nell’introduzione del suo ultimo libro Paola Mastrocola, insegnante di lettere in un liceo scientifico alle porte di Torino e scrittrice diventata famosa nel 1999 con il romanzo La gallina volante, incentrato sulla vita di una docente. Dopo diversi successi (tra cui Una barca nel bosco, La scuola raccontata al mio cane, E se covano i lupi), Mastrocola è tornata in libreria quest’anno con un libro che ha fatto subito discutere, Togliamo il disturbo, saggio sulla libertà di non studiare (edizioni Guanda). In modo diretto e talvolta con un gustoso tocco di ironia, Mastrocola spiega perché la scuola così come è ora non funziona, cosa si potrebbe fare per sanarla e aiutare gli studenti a trovare la propria strada.
Molti dei suoi libri gravitano attorno all’ambiente scolastico, ma come è nata l’ispirazione per questo che è a metà tra il racconto di vita ed il saggio?
Questo libro ha un’urgenza tutta sua: dovevo assolutamente dire queste cose perché vedo un mondo che non mi piace. E quando critichiamo il mondo è perché lo vogliamo cambiare. Non va bene questo scollamento tra chi lavora a scuola e chi la frequenta come utente: c’è un patto che è saltato con le famiglie, innanzitutto, e poi con i ragazzi. È come se insegnassimo ancora le basi della nostra cultura ma queste non interessassero più a nessuno. Penso che per la maggioranza degli alunni e delle famiglie non faccia differenza che io insegni letteratura, inglese o altro. Allora ci si ferma e ci si chiede a quale pro continuare. Al centro di tutto ciò ci sono il libro, la solitudine, la crescita mentale e della capacità logica che è saltata nelle nuove generazioni, non per colpa loro ma perché noi adulti abbiamo deciso che non era più il caso di educare la loro mente a una forma logico-razionale.
“Togliamo il disturbo”. Perché questo titolo?
Volevo intanto dire che la scuola e lo studio sono percepiti come un disturbo, allora se è così togliamo il disturbo. E’ una grande provocazione: qualcuno si è arrabbiato e ci è caduto come una pera, ma per fortuna qualcuno l’ha capito. C’è stato un grande consenso su questo libro. Io da un libro mi aspetto che faccia partire una rivoluzione. Ma la rivoluzione sulla scuola non c’è stata e non ci sarà mai. La scuola continua ad andare avanti perché discutiamo sulle griglie di valutazione e aspettiamo, come fossero il sogno, le lavagne interattive e quindi abbiamo capito tutto.
Il libro è suddiviso in tre parti, le prime due sono propedeutiche all’ultima in cui propone un modello di scuola innovativo. Quale messaggio vuole lanciare con Togliamo il disturbo?
L’ultima parte è propositiva, utopica. Io farei saltare tutto della scuola come è oggi e ricomincerei tutto da capo. Fare tre scuole diverse: una per chi vuole studiare in modo astratto materie come algebra, letteratura o filosofia; poi una scuola per chi vuole mettersi in gioco sul piano manuale, creativo e concreto: aprirei allora scuole di fabbri o maestri d’ascia, di lavoro tra l’artistico e l’artigianato. In mezzo metterei una scuola mediana per chi vuole frequentare una scuola tipo il turistico o l’alberghiero. L’importante è che il ragazzo trovi la sua vocazione, la cosa per cui è nato. Volevo reagire contro questo intasamento dei licei che sono diventati la scuola di massa e non funzionano. Abbiamo i due terzi di una classe che non ha voglia di aprire un libro. Non è che io voglio mandare tutti a lavorare, darei anche delle lauree in falegnameria. Vorrei che i ragazzi studino quello che sentono. Il mio sogno sarebbe un falegname che legga Kant.
Difficoltà nello scrivere il libro e ne ha dialogato con gli studenti?
Sì, ne parlo sempre con i miei studenti. Tutto ciò che scrivo è reso chiaro e manifesto a loro. La cosa sconvolgente è che sono d’accordo con me anche sul fatto che chi va a scuola dovrebbe aver scelto di studiare; invece siamo di fronte al paradosso che sia a casa sia a scuola permettiamo di non studiare: si permette di portare avanti tutti perché la scuola è di massa e la massa vuole che tutti arrivino, ma se non vi è alcun luogo in cui arrivare stiamo ingannando la massa, portando tutti come fa il pifferaio di Hamelin. Ecco questa è una buona immagine che però non ho usato nel libro. Scrivere mi è venuto di getto, ma il lavoro è durato un anno: l’idea era irruente ma lo schema è stato ragionato.
Può essere un libro per ragazzi?
Io non avevo pensato che il libro potesse essere per i ragazzi. E’ stato pensato per i vecchi della mia generazione anni ’50 e ’60 ma mi dicono che lo leggono anche i ragazzi. E’ un libro scritto per salvare i ragazzi, ma la volontà devono mettercela loro perché gli adulti della mia età non sono affidabili.
Un suo libro molto amato è Che animale sei, una favola in chiave semplice e moderna per grandi e piccoli che tratta diverse tematiche dall’affettività all’indipendenza. Tutti i suoi libri hanno un filo conduttore, è presente anche in questo?
A me interessa molto la fase educativa dell’individuo: come ognuno di noi riesce a capire chi è. Già questo è un romanzo meraviglioso. Mi piace l’idea che un giovane si dedichi a questo guardarsi e inizi a interpretare i segni del destino, ci fa capire se siamo sulla via giusta o sbagliata. Sì, in tutti i miei libri c’è un po’ l’idea del perdersi e del trovarsi. Io non copio mai cosa vedo, ma reinvento tutto altrimenti non mi piace, non si inventa dal nulla piuttosto da quello che si vede.
Come è il rapporto di Mastrocola con i libri, quali generi preferisce e quali libri ha sul comodino in questo momento?
Il rapporto è cambiato nel tempo: da giovane leggevo molto e un libro per volta; la vita cambia, siamo più dispersivi e abbiamo meno tempo quindi ora leggo più libri insieme e molti non li finisco, lo ammetto. E’ una lettura che non mi soddisfa, ma da sempre i miei libri preferiti sono quelli di poesia che ormai non sono quasi più letti. Bisogna dirlo ai giovani che esistono i libri di poesia!
Prova sconforto di fronte a queste lacune dei ragazzi e ad un sistema malato?
Direi piuttosto che provo un’allegra rassegnazione, perché io sono un tipo allegro, e la voglia di buttare giù tutto a parole; poi, è ovvio che i processi della realtà sono lenti e secondo me si va a contagio con il passaparola, la condivisione e il diffondersi delle idee e dell’entusiasmo .
Cosa c’è ora nei suoi progetti?
Devo fare un altro romanzo, basta con i libri di scuola e i saggi. Devo tornare a un romanzo, ho un’idea ma deve maturare ancora un po’.
Come è stato il suo rapporto con l’editoria agli inizi della carriera di scrittrice e come si è evoluto?
Ho scritto La Gallina volante e l’ho mandata a otto editori che non l’hanno voluta. Dopo 3 anni ero davvero disperata, l’ho mandata con uno pseudonimo al premio per l’inedito Italo Calvino e l’ho vinto nel ’99: penso di averlo vinto forse proprio perché ho rinunciato a essere io. Quindi ho trovato l’editore ed è proseguito tutto bene.
C’è un libro che non è stato ancora scritto e vorrebbe fosse opera sua?
Questa domanda è alla base di tutta la nostra vita: qual è l’unico libro che valga la pena scrivere? Non lo sapremo mai.
Lei è insegnante di italiano, quale parola della nostra lingua salverebbe?
Timidezza. Non la usa più nessuno. Ci sono persone timide ma non le apprezziamo e quindi loro si nascondo perché non vogliono essere timide.
Ringraziamo Paola Mastrocola per la piacevole chiacchierata, certi che continuerà a coinvolgere con entusiasmo i suoi studenti e a proporre al pubblico buone letture.