A tu per tu con… Mauro Corona

mauro coronaQuando ci si avvicina alla scrittura di Mauro Corona si scopre un riferimento alla montagna in ogni suo lavoro, ma l’ultimo libro pubblicato è qualcosa di più. Ne I misteri della montagna (Mondadori) l’autore apre le porte ai lettori, li invita a entrare nel suo mondo e a riflettere su una realtà in pericolo. Abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare con lo scrittore friulano al Salone del Libro di Torino, ecco cosa ci ha raccontato.

La montagna è un elemento spesso presente nei suoi lavori letterari, qui però ne è sicuramente protagonista. Come mai questa scelta?

Diceva Borges che bisognerebbe scrivere solo ciò che si conosce, anche se lui ha poi inventato addirittura Il libro di sabbia; quindi io ho due compiti: innanzitutto scrivo di ciò che conosco – penso bene, senza falsa modestia -, non conosco mai sufficientemente la montagna però ho sicuramente una bella infarinatura. Dopodiché scrivo per salvare un’epopea che sta scomparendo: la montagna del lavoro, della fatica, del lavoro manuale, che, ahimè, è scomparsa da parecchio tempo. Quindi il dovere di uno scrittore, oltre che raccontare una storia, è preoccuparsi di salvare la tradizione, gli usi, i costumi. Vedo che ci sono due tipi di montagna: quella dove vanno i vip e poi c’è la montagna povera, emarginata dalla politica che non investe nella montagna povera perché non porta profitti. Quindi stanno chiudendo le scuole, gli uffici postali, gli asili; chiudono tutto, emarginando la gente che vuole stare lì, non per nostalgia, ma perché è nata lì. Credo pertanto di avere il dovere, oltre che scrivere di ciò che conosco, anche di scrivere di ciò che devo difendere. Ma non perché io sia un paladino della montagna, mi limito a mettere la mia piccola goccia, affinché se un giorno capiterà qualcosa qualcuno possa dire ‘’Noi lo avevamo previsto’’. Come il Vajont, quanti hanno alzato le mani? Quanti hanno gridato? Ma non l’hanno capito e ha fatto 2000 morti.

Come sono gli uomini della montagna?

Come erano e come sono. Oggi ormai il vecchio contadino del Tirolo ha l’iPod o l’iPhone. Quindi gli uomini della montagna cambiano come cambia la società del progresso, la cifra dell’anima. Non esiste più la montagna poetica-epica. Una persona che si trova in difficoltà, chiama con il satellitare il soccorso alpino e dalla Patagonia lo vengono a prendere. Oggi l’uomo della montagna è più sicuro, forse sarà meno poetico ma le grandi sfide dei maestri, di Bonatti per esempio, sembrano quasi patetiche oggi, ma non lo sono. Ed è anche un bene. La montagna è diventata più sicura. Una volta si doveva andare al paese per chiamare i soccorsi. Si è persa un po’ di avventura. Quindi parliamo di uomini certamente più sicuri ma anche più frenetici, anche più nervosi, più innervositi; io vedo una società frenetica. Io ho perso quasi tutti i compagni di battaglia perché quando vado in un posto vorrei rimanerci fino a quando non mi sento saturo, e questo non lo posso più fare con i miei amici e quindi lo faccio da solo.

E’ lei il cercatore del suo libro?

Sì, in effetti si capisce che sono io. La vita succede, ma il cercatore sono io.

Come è cambiata la montagna in questi anni e qual è il futuro della montagna?

Dipende di quale montagna parliamo. La montagna povera politicamente non esiste, non porta successo elettorale. Però, se ci fossero persone con idee, nella montagna povera si troverebbe ancora l’incontaminata bellezza. Non è stata strizzata. Dovremmo creare dei percorsi per i bambini, delle scuole manuali, e altre belle iniziative. Poi in autunno tornerebbero a scuola come una pila ricaricata. Questo potrebbe essere il futuro di una i misteri della montagnamontagna che non è Cortina o Corvara, ormai hanno un loro giro di turisti. Secondo me bisognerebbe educare a sedersi ed ascoltare: questa è la mancanza di educazione delle famiglie e non delle scuole. E’ giusto frequentare i posti belli, altrimenti rimarrebbero sconosciuti. La montagna va vista, va frequentata. Se non c’è l’uomo, la montagna non c’è.

Con questo libro ha deciso di aprire un po’ le porte di casa sua al lettore, vuole coinvolgerlo e avvicinarlo?

Ogni libro è una biografia non richiesta. C’è la paura di quello che è successo, di quello che succederà, è una specie di appiglio per dire ‘’Guardate che ci sono stato anch’io’’. Si può fare a meno degli scrittori e dei libri, volendo si può fare a meno di tutto anche della famiglia e dell’amore, ma io mi sono raccontato nelle storie. La scultura e anche la scalata mi tolgono i problemi degli uomini di carne, ma il vero io è quello narrante. Io mi racconto nelle storie, e mentre scrivo mi addormento, non penso più a nulla. Ecco perché per me la scrittura è salvifica, è medicina. Si può lasciare anche una buona traccia di sé. Non possiamo sempre delegare le scuole per l’educazione dei nostri figli, noi siamo volpi che camminano in neve fresca, quella traccia lì la seguono i nostri figli. Come fa un bambino dai 3 ai 5-6 anni quando sente il proprio papà che minaccia la mamma a capire cosa è giusto o cosa no? Questo bambino crescerà convinto che la moglie, la madre, la donna deve stare zitta altrimenti si merita ceffoni. E’ per questo che bisognerebbe liberarsi di dogmi, fedi, partiti. Un bambino che sente il papà che urla ‘’Sporco negro’’ a Balotelli durante una partita in tv, lo sta rovinando. Poi quindi non dobbiamo meravigliarci se un giorno quel bambino diventerà un ragazzo che picchierà o ammazzerà un nero. Siamo noi la guerra, siamo noi con la nostra ferocia, perché l’uomo, salvo molte eccezioni, è un feroce idiota. Io mi sto scavando la fossa: dico queste cose che nessuno vuole sentire perché siamo tutti parte in causa.

Quali emozioni le piacerebbe che provassero i suoi lettori nella lettura del suo nuovo romanzo?

Mi piacerebbe che il lettore provasse quello che ho provato io nella mia infanzia. Io dall’anzianità sono tornato indietro perché ho capito che mi stavo snaturando. La mia montagna era abbastanza tecnica, non ero più naturale. Mi sono detto che dovevo recuperare le cose belle, la magia, i sogni, le illusioni, le fantasticherie, le superstizioni, e per questo sono tornato giù dalla cima e sono partito dall’inizio. Vorrei che chi leggesse queste libro potesse provare quello che ho provato io una volta quando ho sentito l’eco che mi parlava; le mie emozioni da adolescente bastonato dalla vita, la fame, la miseria, le botte ma era contento perché quando andava nel suo giocattolo, la montagna, si divertiva.

Riccardo Barbagallo

Lavoro da qualche anno nell'editoria, mi occupo di comunicazione per editori e autori e sono un digital addicted. Al contrario di altri, non mi posso definire un lettore da sempre, 'La coscienza di Zeno' in prima media è stato un trauma troppo forte da superare per proseguire serenamente la relazione con la lettura. Più avanti ho deciso di leggere un libro per piacere, e non per obbligo, ed è stato lì che ho capito quale sia la vera forza della lettura: la capacità di emozionare. Credo che sia questo il segreto, se così possiamo definirlo. Non ho più smesso.

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