A tu per tu con… Marco Malvaldi

Marco Malvaldi ha la capacità tutta toscana di dirti le cose più terribili con una naturalezza impressionante, unita ad un’ironia pungente ed unica, la stessa che si ritrova nei suoi libri. I più celebri da “La briscola in cinque” a “La carta più alta”, editi da Sellerio, sono gialli in cui i detective sono un gruppo di vecchietti che si ritrovano in un tipico bar toscano. L’autore sta per tornare in libreria con una nuova avventura dei suoi personaggi, il libro sarà “Milioni di milioni” edito sempre dalla casa editrice di Palermo. Abbiamo avuto con lui una lunga chiacchierata che, partendo dal contenuto dei suoi libri, che presto diventeranno una fiction,  è arrivata a toccare la sua personale visione della letteratura. E della vita….

Nei suoi libri ha trasformato un ambiente pittoresco e familiare, tratto da sue esperienze personali, in uno scenario da libro giallo. Come ha effettuato questo passaggio?

Il posto dove li ambiento è un bar: un luogo tipicamente italiano, mediterraneo, nel quale i lettori si riconoscono. Chiunque va in un bar sa che ne esistono determinati tipi: c’è quello in cui  fai lo scontrino prima di consumare, quello in cui vai a leggere la gazzetta e quello in cui vai a chiaccchierare degli affari tuoi. Il bar che ho usato da sfondo per i miei libri è quello dove vanno i vecchietti a giocare a carte: è una specie di club privato dove può entrare anche qualcun altro, ma è chiaro che deve seguire delle regole non scritte.

Nei suoi libri si percepisce un legame con i film di Monicelli, da lei stesso citato. Quanto è importante questo riferimento e quanto invece tutto ciò appartiene all’atmosfera burlesca toscana?

Uno dei capisaldi dell’atteggiamento toscano nei confronti della vita è che ciò che accade potrebbe essere anche una situazione disperata, ma non è mai una cosa seria. Quello che ti sta succedendo  per te è una disgrazia, ma magari per altri potrebbe essere una cosa divertente e viceversa. Quando stai male il metodo classico toscano per farti stare meglio è ricordarti che, grazie alla cosa brutta che stai vivendo, ci sono persone che si divertono. Può essere un modo “bastardo” di risolvere la questione, ma al tempo stesso serve a ricordarti che non ci sei solo tu al mondo: gli altri pensano a te, magari per prenderti in giro, comunque pensano a te persona specifica, non sei indifferente. Uno dei detti toscani meno conosciuti, ma più belli secondo me è che “la gente son persone”.

Oltre ai vecchietti detective e rompiscatole, il protagonista dei tuoi libri è il barrista Massimo, poco diplomatico e come molti personaggi moderni in crisi nei rapporti personali. Ne “La carta più alta” riflette tramite la Bibbia e i filosofi. E’ forse un messaggio per dire che i classici sono importanti?

Verissimo. La letteratura vera e propria, che è quella che dura, contiene delle invarianti, delle riflessioni sull’animo umano che evidentemente non sono estemporanee, non dipendono dal tempo in cui sono state scritte, ma sono universali. Ed è per questo che il libro si chiama così: oltre al gioco che fa Massimo, la carta più alta infatti  è la letteratura con la L maiuscola, quella che ti può dire “Guarda che sei un uomo come tutti gli altri che ha un istinto, sensi di colpa, dolori, … ” Se uno riesce a capire che c’è un tipo di letteratura che fa questo ha a disposizione una specie di manuale d’istruzione per la vita, che non ti dice cosa fare e non sbagliare, semplicemente ti dice che è sempre successo: non sei meglio o peggio degli altri. La letteratura poi è terapeutica anche per chi scrive.

A questo proposito, come vede lei il mestiere di scrittore?

Quando scrivi diventi una sorta di amico pubblico e devi accettare il fatto che scrivendo in modo sincero ti levi le mutande di fronte a migliaia, persino milioni di persone. Per esempio, se hai letto i miei libri potresti sapere che adoro il seno femminile e odio il cappuccino. Io poi sono un chimico che fa lo scrittore e c’è un po’ di diffidenza e incapacità di accettare che puoi fare letteratura senza averla studiata istituzionalmente. Secondo me però se hai fatto lettere moderne indirizzo cinema sei molto meno bravo a capire e goderti un film rispetto a uno che di lavoro fa tutt’altro, ma tutti i mercoledì da trent’ anni va a vedersi un bel film con passione piacere e consapevolezza.

Il nostro giornale ha sede in una zona lacustre e noi sappiamo che lei non ha un buon rapporto con i laghi, in particolare quello d’Orta. Ci può spiegare perchè?

Io vengo dal mare e per me i laghi sono tristi per definizione: ho sempre la sensazione che siano degli studenti che ambivano a diventare mare e sono stati bocciati. Ti puoi imbarcare ma non andrai mai da nessuna parte, rimani sempre lì. Era quella la motivazione per cui  nel mio libro “Odore di chiuso”, Ernesto Regazzoni che veniva da Orta a chi gli chiedeva  perchè bevesse così tanto indicava il suo paese e diceva: ” prova a vivere sobrio in un paese come questo!”

Per concludere ci può lasciare un messaggio per “Gli Amanti dei Libri”?

Certo: continuate a leggere i libri e continuate a comprarli perchè sono quasi sicuro che sono tra i pochi soldi che non mi sono mai pentito di aver speso!

Leggi anche la nostra recensione de “La carta più alta” di Marco Malvaldi

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Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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