Al Salone Internazionale del Libro di Torino abbiamo incontrato Ignazio Tarantino, giovane scrittore pugliese con cui abbiamo chiacchierato del suo primo libro “Sto bene, è solo la fine del mondo“. Il suo, edito da Longanesi, è romanzo autobiografico, che racconta la storia della famiglia che gli è stata tolta, quando aveva vent’anni, da una setta religiosa che ha cambiato sua madre e anche la sua vita.
Come mai si è deciso a romanzare la sua vita proprio in questo momento?
Ho deciso di farlo in questo momento perché credo si tratti di una storia molto in linea con la situazione attuale. È una storia che parte negli anni Ottanta, vive tutti gli anni Novanta, ma non si riferisce solo a quel periodo, perché i temi che tratta sono decisamente attuali. Per questo ho pensato che fosse giusto raccontarli.
Parlare di aborto è tutt’ora una questione delicata, nonostante comunque dei passi avanti siano stati fatti. Immagino che negli anni Ottanta lo fosse ancora di più.
Sì, ma ritengo che quelli siano concetti molto individuali, che spesso non hanno nemmeno a che fare con un discorso di tipo sociale o di manifestazioni di volontà. Ritengo che siano scelte assolutamente personali: anche se si tratta degli anni Ottanta, l’aborto mancato di cui si parla nel libro riguarda comunque un caso molto specifico.
Sua madre ha dimostrato uno straordinario amore per la vita e ha segnato in modo particolare la sua. Quali sono i principali valori che le ha trasmesso?
I valori principali che ho appreso da mia mamma sono sicuramente l’onestà e il fatto di avere delle idee e di lottare per esse. Ognuno lotta a suo modo, ma è il valore maggiore che lei mi ha trasmesso: avere la volontà di portare avanti le proprie idee e le proprie convinzioni. Credo sia stata la sua lezione più forte, insieme al rispetto e alla considerazione per gli altri.
Ti sentiresti dare la stessa risposta anche dal protagonista del tuo romanzo?
La diversità dal protagonista del romanzo risiede nel fatto che lui ha una posizione più ferma nei confronti del percorso della madre. Forse è stato più critico, anche se bloccato dal grande amore che prova nei confronti della madre e che gli impedisce di andarle contro.
Nel suo romanzo si parla delle sette e dei loro effetti. Quali sono i fattori principali su cui queste sette agiscono per attirare le persone?
Il discorso delle sette è abbastanza complicato e per questo ho voluto parlarne: dall’esterno è difficile capire cosa significa trovarsi in situazioni del genere. Molto spesso, chi fa parte delle sette viene visto, dall’esterno come una bravissima persona con una vita normale e questo perché non si conoscono i meccanismi interni. Esempio lampante sono tutte le privazioni a cui sono sottoposti i membri, sia a livello di pensiero sia soprattutto relazionale e, in particolar modo, nei confronti delle altre realtà, con cui non c’è scambio né possibilità di confronto. Ad esempio, noi conosciamo i Testimoni di Geova solo come coloro che vanno a suonare alle porte della gente, ma dietro c’è molto altro. Quello delle sette è un meccanismo talmente lento e totalizzante che diventa normale passare dalla vita normale a una fuori dal normale.
Ma è una cosa che avviene in maniera graduale?
Sì, avviene tutto in modo graduale, attraverso una conversione guidata da altri, seppur inizialmente volontaria: si inizia con la curiosità di sapere, di scoprire quali sono queste promesse di un futuro migliore e poi, pian piano, si effettua tutto un percorso di studio che porta però dalle promesse di vita migliore ai mezzi per ottenerla, che sono solamente quelli dettati dal gruppo. Eliminare le immagini sacre, evitare contatti con chi non professa la stessa fede; pian piano viene tolto tutto quello che si conosceva prima per immettere nuove informazioni.
Questo è un tema che nella narrativa non è così comune, come invece lo è nel noir. Il protagonista non conosce da subito la volontà della madre di unirsi a questa setta: quali sono gli elementi che glielo fanno scoprire e come reagisce nel momento in cui lo scopre?
In realtà nemmeno la madre sa che sta cambiando, la sua decisione arriva come una cosa naturale. Il bambino lo scopre ascoltando gli strani dialoghi della madre, che inizia a fare profezie o a citare riferimenti biblici. Nel dramma ho voluto inserire un po’ di ironia e stupore per questo nuovo mondo e per la trasformazione graduale della madre. All’inizio di questo percorso, il bambino sa solo che la mamma sta facendo un percorso di studio e che, proprio grazie a questo percorso, non morirà mai; per un bambino di sette anni è una bellissima notizia e lui per questo ci crede. Quando poi sua madre gli dirà che loro non celebreranno più il Natale capirà che la sua vita sta cambiando drasticamente.
La reazione? Incredulità?
La reazione immediata è un senso di tristezza e di perdita di qualcosa, poi incredulità e stupore, fino all’accettazione della cosa, perché per il bambino la mamma incarna la perfezione, anche perché non ha altri punti di riferimento.
Quanto di tutto questo è reale? Quanto è accaduto nella realtà?
Tutta la parte di descrizione di ciò che si fa nella setta è reale perché vissuto in prima persona, anche se molti episodi si confondono tra realtà e finzione. Sono stati modificati alcuni personaggi, il contesto e alcuni episodi che io non ho vissuto ma che mi sono stati raccontati da altri. Non sono sceso nei particolari di una setta, perché volevo raccontare tutti gli estremismi. Nel libro parlo però di una pratica che molti conoscono e che identificano immediatamente con i Testimoni di Geova: le trasfusioni. Ho infatti riportato un particolare, che mi è stato raccontato, di una persona morta per aver rifiutato una trasfusione di sangue che avrebbe potuto salvargli la vita.