Dopo essermi innamorata del romanzo d’esordio di Gaia Coltorti Le affinità alchemiche (Mondadori) la curiosità era incontenibile, il romanzo dona al lettore innumerevoli spunti di riflessione e lo mette di fronte anche a domande sulla vita, sull’amore, sui rapporti. Ringrazio Gaia Coltorti per avermi concesso quest’intervista e per aver mutato i miei punti di domanda in punti esclamativi.
La prima vera curiosità è quando e come si è avvicinata alla scrittura? C’è qualcuno che l’ha motivata particolarmente o è stato un libro a farle capire che avrebbe intrapreso questa avventura?
Mi sono avvicinata alla scrittura in modo naturale, quasi come ci si avvicina a uno sport o a un hobby perché lo si sente in linea con i propri interessi. Non c’è stato un particolare avvenimento che mi spingesse a scrivere, né una particolare lettura, pure se gli anni in cui ho cominciato a scrivere passavo molto tempo a fare il topo di biblioteca.
E’ andata più o meno come acutamente rileva Julian Barnes nel suo libro “The uncommon reader”: prima o poi, uno che legge dovrà pur finire a scrivere.
Cosa ha provato quando ha saputo che il suo primo romanzo sarebbe stato pubblicato?
Ho accolto la notizia in modo sereno, ma ci ho messo un po’ per abituarmi all’idea. Anzi, credo di non essermi ancora del tutto abituata.
Chi è stato il primo lettore in assoluto? Come hanno reagito i suoi compagni di classe quando è uscito in libreria?
Il primo lettore in assoluto è stato un editore, considerando che le mie amiche avevano letto solamente alcune partizioni. Inoltre, non conosco le reazioni dei miei compagni di classe: frequentando già l’università lontano dalla mia città natale, ci siamo persi di vista.
Trovo che il titolo del romanzo Le affinità alchemiche sia perfetto e accattivante. Ci racconta la storia di questa scelta?
Il titolo è stato l’ultima cosa di cui mi sono occupata. Arrivata alla fine del romanzo, mi sono detta che volevo enfatizzare la differenza tra una scelta libera e una, per così dire, obbligata quasi per questioni biologiche. Al di là del testo goethiano.
Giovanni e Selvaggia, i protagonisti del romanzo, sono due gemelli di diciotto anni molto diversi tra loro ma, appunto, così “affini”. In che modo sono venuti alla luce?
Sono venuti alla luce da una serie di corrispondenze: la lettura del testo della piéce “Peccato che fosse puttana” di John Ford, la lettura del saggio di Nadia Fusini “I volti dell’amore”, e dall’osservazione diretta della realtà, tra cui una specie di circolo à la “Ecce bombo” in cui le mie amiche e io cercavamo di risolvere problemi legati ad innamoramenti e separazioni.
Dal romanzo emergono tematiche importanti, come il difficile rapporto genitori-figli ed un profondo senso di solitudine che, a mio parere, è il sentimento che lega i due protagonisti, prima ancora dell’amore. Concorda?
Assolutamente. Infatti, quel che mi premeva sottolineare con questo romanzo è la condizione di profonda solitudine della nostra contemporaneità, e in special modo del giovani. E il loro stare insieme, come viene suggerito anche in qualche partizione all’interno del testo, è anche un po’ in parte il loro unirsi per contrastare questa solitudine e la percezione dell’assurdità della loro situazione che li morde.
E sicuramente, come anticipavamo prima, il tema portante del romanzo è l’amore tra i due fratelli: la loro passione travolgente, il loro legame disperato e indissolubile. Come mai questa scelta, resa singolare data la sua giovane età?
Non ho pensato all’amore impossibile o comunque contrastato in una prospettiva romantica, anzi. Piuttosto, questo tema mi dava agio di approfondire la riflessione che soggiace a tutto il romanzo, ovvero la ricerca della colpa. Mi interrogavo sul fatto che non solo in letteratura ma anche nella realtà si tende spesso a cercare di chi sia la colpa se ci accade qualcosa di spiacevole o se abbiamo dei problemi.
Chiedersi chi o cosa ha colpa se i genitori hanno divorziato, o chiedersi a chi devono attribuire la colpa delle loro sofferenze e della loro solitudine è un po’ quel che fanno i due protagonisti fino alla fine, rimanendo ingabbiati in un sistema di domande senza cercare una soluzione.
Vuole lasciare un messaggio per i lettori di Gli Amanti dei Libri?
Non posso dirvi di amare i libri, dato che in questo siamo tutti ferrati; posso dire che, ancor più che amare i libri, amate chi vi è vicino – detta così sembra semplice, no?
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