Lunedì 14 novembre mi sono recata a Milano per un incontro con lo scrittore Andrea Scanzi. Piccolo aneddoto: prima dell’incontro ufficiale presso la libreria Rizzoli, io e lo scrittore ci siamo ritrovati insieme in Galleria Vittorio Emanuele II a cercare il civico 79. E’ stato un incontro buffo, eravamo semplicemente lo scrittore Andrea Scanzi e la vostra inviata Valentina alla ricerca della libreria. Colgo immediatamente in quel sorriso gentile un’educazione fuori dai tempi correnti. Capisco in quell’ istante che ci sarà da stupirsi durante l’intervista e che Andrea Scanzi ha una spontaneità differente da quel che appare in televisione.
Lo scrittore durante l’intervista si è fatto affiancare da due suoi colleghi e amici Silvia Truzzi e Matteo Grandi. In un’oretta sono state proposte allo scrittore diverse domande e riflessioni sul suo nuovo lavoro.
Perché ha scelto due cinquantenni come protagonisti del suo ultimo libro “I migliori di noi” (edito da Rizzoli, ndr)?
Volevo raccontare una storia di amicizia tra due persone che hanno un passato importante e poi la generazione degli anni Sessanta è divertente da raccontare, è una generazione che ha vissuto gli anni Ottanta, ha vissuto i cambiamenti legati alla musica, al cinema e alla politica. Fabio e Max sono due cinquantenni che hanno in comune una grande amicizia, sono cresciuti insieme, condividendo l’Università, due amici che si ritrovano dopo venticinque anni e sono cambiati tanto.
E’ vero che c’è molto di lei nel romanzo? E’ come se mostrasse una natura differente da quello che appare in televisione…
La critica che mi fanno con maggiore frequenza è appunto quella di considerarmi differente come giornalista televisivo e come scrittore. “I migliori di noi” non è un’autobiografia anche se c’è molto di me nel libro. Mi rivedo in entrambi i personaggi: Fabio è un tipo tranquillo, un uomo realizzato con al suo fianco una donna che ama, dall’ altro canto invece c’è Max, un cinquantenne irrisolto, divertente, più incazzato con la vita, ma che in fondo oltre la corazza ha un cuore vitale.
Rispetto al libro precedente che era molto politico, questo libro tratta meno di politica, è vero?
Esatto, mi ero stufato…Avevo più voglia di scrivere un romanzo intimista, due cinquantenni come Fabio e Max fanno fatica a innamorarsi della politica, nel libro l’unico a fare battute di politica è Vaiana – un ottantenne. I cinquantenni si sono un po’ spenti, hanno capito che la salvezza è il “nido”. Il mio trasporto per la politica è minore: parlo e scrivo di politica anche nel giornale che amo cioè “Il fatto quotidiano”, ma rispetto a due anni fa lo faccio con meno entusiasmo.
Arezzo viene sviscerata da un amante della città come lei, Arezzo fa riecheggiare i nomi di un certo tipo di politica. Con il suo libro vuole riabilitare Arezzo oppure ha avuto voglia semplicemente di raccontare la sua città?
Arezzo è la terza protagonista del libro e ha la stessa dignità dei due personaggi del romanzo. Ho scelto Arezzo perché è la città che conosco di più e sono tornato ad abitarci cinque giorni al mese, passeggiando nel centro storico a quaranta anni capisco quanto sia bella. Utilizzo le vie che conosco per raccontare la storia dei due personaggi. Mi fa onore sapere che alcuni lettori abbiano avuto la voglia di visitarla a seguito del mio romanzo: avere suscitato in qualcuno un interesse è sicuramente un grande complimento per uno scrittore. Arezzo non è sono da abbinare agli aspetti meno nobili della politica contemporanea, questo non sarebbe giusto. Con il mio romanzo volevo spiegare che la mia città non era solo quello.
Cosa può rivelarci sulla storia d’amore tra Fabio e Federica?
E’ un amore che nasce all’Università, che dura da venticinque anni. Loro ancora si amano. Fabio e Federica sono riusciti a fare della quotidianità il loro capolavoro, sono riusciti a rendere straordinario vivere insieme, senza consegnarsi malamente all’ abitudine. Questo rapporto forte tra Fabio e Federica mette in crisi Max, perché per quanto quest’ultimo pensi di avere scoperto il “trucco” della vita perché l’ha bruciata, si accorge che la felicità era a portata di mano.Federica è un personaggio a cui voglio molto bene: ha una discrezione rara, sa dire la parola giusta al momento giusto e sa essere complice di Fabio.
Ha lavorato molto sul linguaggio in questo libro, gli elenchi alleggeriscono la narrazione e danno ritmo, c’è stata un’evoluzione rispetto al precedente lavoro?
Io quando scrivo tendo a “sbrodolare”, che è un difetto comune. Soprattutto la prima stesura era troppo piena, così l’editor mi ha aiutato ad alleggerirla. Se si avverte un passo avanti rispetto al libro precedente è perché questo libro è nato in maniera più naturale, avevo un’idea chiara in testa. Gli elenchi e l’effetto che danno sono divertenti perché penso alla scrittura in maniera piacevole gradevole e accattivante. Io non posso scrivere un libro noioso. Uno degli obiettivi che mi prefiggo, anche quando scrivo di politica, è arricchire l’articolo di battute.
L’elenco nel romanzo si presta a questo effetto: mi piaceva che Fabio elencasse le cose che negli anni gli hanno cambiato la vita, mi piace il tono alto e il tono basso, mantenere un tono melanconico e ironico allo stesso tempo.
Come fa a scrivere su diversi argomenti: dalla politica, al vino, alla musica e al calcio? Come fa a toccare diversi argomenti con altissima competenza?
Io non sono un tuttologo, posso piacere o meno, ma prima di tutto io mi informo su quello di cui voglio scrivere. Prima dell’avvento di internet, bisognava andarsi a cercare la notizia. Io non scrivo e non parlo solo di politica, la nostra vita è fatta di correlazioni e io uso le mie conoscenze per scrivere anche di diversi argomenti.
L’autore Andrea Scanzi alla fine dell’intervista ha letto un pezzo de “I migliori di noi”, che ci piace riportare:
“Mano a mano che elencava ciò per cui era valsa la pena vivere, e sarebbe valso ancora, Fabio si rese conto che quella carrellata di momenti felicemente cristallizzati creava un corpo unico dove ogni tassello del rimpianto tendeva a non prevaricare gli altri. C’era un ordine implicito delle cose. Delle cose e delle persone. Erano ricordi che, come lui, ambivano alla collettività. Tanti piccoli gregari che inseguivano una vittoria del gruppo. Nessuno andava mai in fuga, rispettando una irrinunciabile coesione generale. Un’esigenza sacra a non smarrirsi, a non perdersi di vista mai. Anche per questo, anzitutto, gli sarebbe mancata non tanto l’impresa quanto l’abitudine. Quella somma di piccoli gesti che reputi scontati, ma se poi li togli crolla tutto. Le fondamenta implodono e addio. Fabio lo sapeva bene. Era un adepto dell’abitudine. Non c’erano particolari highlights nella sua vita e a lui piaceva così. Era la conferma di avere sempre inseguito, più o meno deliberatamente, una quieta rassicurante. E più ancora emozionante. La costruzione di un piccolo castello, giorno dopo giorno, masso dopo masso, fino ad edificare qualcosa di giusto e in qualche modo definitivo. Quel castello, reso inviolabile da Federica, era la sua vita. Una bella vita. Una bellissima vita.”
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