L’ElzeMìro – Olio di lino – Terza puntata

Schermata 2017-05-09 alle 10.56.35

… innamorarsi al primo sguardo si sa che è possibile, non si fa che parlarne, è il sogno di ogni walzer mmma… là non è tanto questione di sguardo quanto di a breeze a caper in the trees and I am rose, signorina Dickinson piglia tutto sempre the right feeling just in the middle of one’s falling; sì sì si è innamorati prima di averne notizia, già caduti collassati nell’immaginazione, abito e sostanza d’ogni cosa mmma… chi mai sarà lei pastora di capre in incognito, che indossa calzettoni e zoccoli di legno in cui nasconde piedi bellissimi e pallidi  epperò non si depila, non diciamo laggiù per Copacabana, le gambe… precisiamo che Ph non ha mai trombato donne che non fossero biliardi, che non indossassero calze di sottilissimo filato ed epidermidi di sete allegoriche, involucri del desiderio, e per tutta la vita anteriore alla disgrazia dell’ingrassissimamento e allo scchtunf tra loro delle vertebre, guardiane della cella di sediziose insonnie, non fosse che esistono i morfìnosimili. Ora, precisiamo che sta andando molto meglio, il viaggio in autobus fino quassù  mostra la Lust che l’accompagna, di rifare alla spina dorsale se non la sua naturale verginità, per lo meno riattizzarle il ricordo di quando stava all’impiedi com’indomabile taurino stìcchio; quanto al volume della carne, Ph ha scelto il soggiorno dint’uno di quegli alberghi dove t’estinguono ogni peccata col credo in salute una e latrina. Come tutti i battesimi una garrota. Va fatto rilevare al lettore smanioso, che la corriera sta dovendosi fermare, qui e là lungo la strada che si srotola lungo lungo il lago -una cruna per la precisione – e a ogni fermata il ronron di anziani in via d’estinzione e dei maimorti pensierinin di Ph son’interrotti dal rumoroso saliscendi di, coppie soprattuto, alcune clandestine, tanto risibili quanto più si vede che giocano ai fidanzatini; tra i quarantacinque e i sessanta, circonfusi da aureole metalliche e colorate, bastoncini, scarponcini, – tenute da conquistatori di qualche rifugio dove si sono confortati con Schnitzel meditando pomeridiani decubiti selvaggi – e magliette strìgnemetuttamòr anche le sessantenni, contenzione di seni che corampòpulano, Siamo il suo lecca-leccadel’òmm imbarbarito da mustacchi color cenere – sapete ci spreme ci slurpa ch’è un piacer finché c’è vita c’è semenza da spargere nel nostro solcobueno, prima dello sguardo è tutto il tessuto epiteliale a sapere que ce n’est pas question de peau ou bien oui de peau mmmais, alors cette peau quelle surveillance a-t-elle sur l’ensemble du one’s feeling. Ph sente senza smagliature che della giovane di fronte nulla l’ha colto, se non le dita d’un bel colore sullo sfondo chiaro del vestitino estivo – e se fosse stata pastora davvero in Uganda è la domanda – dettagli di cui si è dato conto, li ricorderà a suo tempo, per ora sa di aver registrato Africa su cotonina chiara, tutta la sua ciccia ascolta quel contrasto che prelude al guardo ma quando ma quando, tutto Ph  interrogativo, quando alla fine, alla fine di che, questionerà  il lettore consapevole che questo alla fine identifica invece un possibile inizio, ebbene, quando alla fine la donna raised her face off the cello-phone, and as one African princess appears, presently in exile, but ready to become  queen… se ne vide in chiaro la divinità scolpita, africana, turbativa agli occhi da perito settore di Ph, che mai ha perdonato a chicchessia, a sé per primo, l’esistenza… radere a pelo la stirpe manca cosa, un’alluvione mmma… nel caso della scolpita soprassedere magari… by the way nel borderò di tutto questo vagolare dei suoi pensieri, e che noi abbiamo riportato nell’ordinato disordine con cui si sono apparsi e a Ph, non facciamola troppo lunga con la coscienza, i flussi sono di principio mestruali, ossia cellule morte.

                                     La prima e la seconda puntata il 4 e l’11 u.s.

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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