L’ElzeMìro – Temi e variazioni 9

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                                                                                                          Will Eisner 1917- 2005

                                                   9.   L’anàmnesi

                                                                 da La metamorfosi di Franz Kafka

                                                                 Prima puntata

Gregorio Samsa, svegliandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo… ecco dottore da qualche tempo mio marito legge e mi rilegge queste righe poi… ha comprato diverse copie tutte uguali del kafka… ne lascia dappertutto… aperte sulla prima pagina… leggere e studiare di continuo deve… il suo lavoro di musicista è la sua benigna ossessione ma in questo kafka vedo una fìsima un assillo… non esagero e…  guardate questa foto… le ho detto l’ha messo in tutti gli stati… Trascrivo le parole esatte della contessa T. moglie di M., compositore e soprattutto direttore d’orchestra. Partire dalle parole precise, non solo del paziente, ma di chiunque col paziente abbia rapporti, è il tappeto di ogni ben condotta indagine clinica. Ebbene, la contessa mi mostra una grande fotografia del marito attorniato da un gruppo di colleghi, È stata scattata alla cena in suo onore un mese fa… meno… dopo il requiem sapete… di verdi. La fotografia in genere ha il merito di restituire della realtà, una qualsiasi, l’id est ubi sit*, non il così ci piacerebbe ma il così è. Nel corso della mia carriera ho anzi rilevato che le istantanee mostrano non quel che vediamo; un nonnulla bensì che a noi sfugge ma non all’obiettivo, un’ombra, un alibi, una differenza, la particella elementare che confinata nella memoria dell’alogenùro d’argento ci interroga. Di rado credo alle apprensioni, di rado però le trascuro ch’in esse v’è sempre un quantum di vero che si sottrae a chi le manifesta mentre è il segnale che aspetta noi clinici. Nel caso specifico sono sorpreso dalla corrispondenza tra eventi e, mi perdono il termine, premonizioni; decido quindi di visitare il paziente, in senso proprio di incontrarlo per un colloquio, così ci vediamo nel suo studio; registro l’impressione che tutto qui sia come appeso, sospeso a un ordito senza trama; mi colpiscono il pianoforte in palissandro – Blühtner la marca – e, dopo poche battute, la riluttanza del maestro a parlare come se quel che potrebbe dire fosse un nemico che bussa troppo alla porta; è un metafora questa; non è una metafora anzi somiglia piuttosto a un principio d’allucinazione ciò che egli sciogliendo la naturale diffidenza di chi è interrogato, con zelo riferisce ossia che lo sguardo sottile e intelligente che egli s’era abituato a riconoscere come proprio, dice, stupido gli si è rivelato in quella foto – sul tavolo accanto alla partitura aperta dell’Offerta musicale di Bach, Algebra per l’intelligenza del cuore che all’interprete chiede di essere artefice o di soccomberne trafitto, accenna cercando in me l’assenso – Potrebbe essere un titolo di dalì, aggiunge, Entomologia di uno sguardo stupido. Mi incalza l’agitazione della contessa che a ragione o a torto si preoccupa per quel prossimo Bach. Intuisco che un artista non è del tutto padrone di sé, anzi mi viene da pensare che l’esito d’arte sia per molti versi il sussulto di un corpo colpito dal disagio della propria angustia. Ho ordinato una serie di indagini diagnostiche. Attenderò gli esiti.

                                                          Fine della prima puntata

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*non è una formula latina nota; alla lettera cioè quando sia

BARTURO 10

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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