L’ElzeMìro – Lettere alla dr.ssa Dedgyakéli* Lettera sedicesima, 2 maggio, Ceneri

larger                  George C. Tooker (1920-2011) Un ballo en Maschera,1983, litografia, RoGallery

 

La vita vista dalla testa non vale più della vita vista da un pesce rosso

L.F. CélineBagatelle per un massacro

 

Cenere alla cenere. Cremarsi. Mica facile eh dottoressa, superabile ambarabà, stile quale, bènzobónzomòlotov, prosciuttodipraga1 e se, in una ben formata catasta di legni ben unti e resinosi, ode ad omero, al valium premorti distendendosi con metodo e un marchingegno che innescasse la pira, sicché vuhùm fuochi di gioia2 dopo, cenerentola in cenere, come spazzarsele e/o spargersele a dove affannose3. Questione di temperatura; di una pira se è sufficiente a restituirti in resto dovuto, rischio di lasciare di sé un’immagine brutta; rattrappisce il calore per via dell’acqua séssantacìnque%, hsssssssfumo, senza sugo è bruciato l’arrosto. E poi; lì dove ti sei conbùstus, consùmptus, consummàtus, mica è detto sia quello il dove rendersi al cosmico o arrendersi al comico. Come disse il piccione al colombo, terra terra tutti giù per terra.

Di tutto questo mio affannarmi dottora, su su un treno, su su un altro, niente resterà, altro che arrivare a fine corsa in orario; niente, Deadend. Isola dei morti, ma nemmeno, ceneri sintattiche. A Vinegia ah sì che bel, plosh plosh di remi ai funerali. In Gondeadla.

Nomadismo paradosso di Nòmede in moto continuo; paradossale perché all’arresto del treno, me sferza il momento di scendere, più che in banchina però, a patti con l’esistenza dei maggiori e minori stanziali, a stanziarmi là dove la mia di me stanzialità senza deroghe vorrebbe restare nel piccolo del vagone, rifugio da ciò che m’insegue. Per omnia spècula spèculorum.

Sempre amati i trenini e di più quelle amplificazioni dei trenini che, per i potenti della terra,  cacaiser o caporali del popolo, fu il treno personale. Un gran treno all inclusive, d’acqua cisterne, frigidaires, lavatrici, stirarimìra, armadietti; solo per stendere i panni un vagone, riscaldato d’inverno, arieggiato d’estate; personale niente, me fa da me tutti i mestieri; solo un filo e due scatole per parlare al macchinista4, solo cambiarlo qua o là, fermarsi mamài, tuh tuh, o dove meglio pare e/o a dispetto delle stazioni, dunque bosco, riviera, monte, lago, confine, popoloso deserto5. Nessuno può sfanalare ai limiti di un treno che viaggia. Nessuno può sorpassarlo. Ha il permesso me di guidare, già detto; ma della mobile sempre temuto l’essere per niente auto; vettura sì ma amen. 

Eppure, dottoressa, alla sosta sono costretto per lavar via centimigliaia di sudicerie ferroviarie, la puzza di carne e mutande e nutrirmi, defecarmi, lavarmi à nouveau. Le ore scoccano tante di più e profonde delle frecce. San Sebastiano.

FILETTO alle 14.29.30

*cfr. https://wordpress.com/post/dascola.me/4139

 

1 allusioni alla pratica invalsa tra i monaci buddisti durante la guerra del Vietnam (1955-1975) di darsi fuoco per strada. Al tempo dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia (1968), un tale Jan Palach si diede fuoco per protesta  a Praga; da qui il feroce sarcasmo, prosciuttodipraga, notorio affumicato.

2 cfr. G. Verdi-A. Boito – Otello – AI  https://www.youtube.com/watch?v=hI7hSVfCkKg

3 cfr. Alessandro Manzoni –  Adelchi – atto IV , coro

4 riferimento al noto telefono a spago dei giochi infantili; costituito dai due latte di conserva legate tra loro da un spago passante per  un forellino sul fondo di esse e tali che parlando, anche a non poca distanza, nel cavo dell’una si può ascoltare nell’altra e viceversa.

5 cfr. G.Verdi- F.M.Piave – La Traviata – A1/SV-  https://www.youtube.com/watch?v=I4cSVnqGmOc

BA 10

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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