Nell’ultimo romanzo di Francesco Carofiglio “Una specie di felicità” corrono parallele le storie di due personaggi complementari e apparentemente opposti, due psicoterapeuti, un ex professore universitario famoso e brillante ora in un istituto per un fatto terribile successo due anni prima, e un giovane psicologo, Giulio d’Aprile, al quale è stato affidato il compito di prendersene cura.
Singolare l’approccio di Carofiglio al racconto della vita dei due protagonisti ai quali si affiancano in tutto il romanzo una serie di variegati personaggi, soprattutto femminili e affatto secondari, ciascuno con una propria psicologia ben definita e tutti fondamentali allo sviluppo psicologico e alla storia dei personaggi principali.
Senza dubbio originale la scelta di Carofiglio di scegliere come protagonisti due personaggi accomunati dalla professione e dalla abitudine all’analisi altrui per raccontare quella che sarebbe altrimenti potuta essere soltanto la storia di un incontro- scontro tra due generazioni diverse.
In un romanzo in cui il nero della notte è il colore dominante e i luoghi sono degli stati d’animo, entrambi i personaggi compiono un percorso di rinascita e di liberazione da un passato che ha segnato entrambi e che non sono stati in grado di gestire appieno.
I dialoghi e i pensieri che ricorrono frequenti, la cura massima della psicologia dei personaggi fanno di “Una specie di felicità” un romanzo affascinante e coinvolgente che offre spunti di riflessione ai quali il lettore non può rimanere indifferente.
Al centro del romanzo c’è l’incontro-scontro tra il protagonista, Giulio d’Aprile, e il professor Dario Moretti, il suo anziano maestro. Come tratteggeresti un confronto tra i due personaggi?
Rispondo scavalcando un leggero disagio.
Ho sempre pensato che chi inventa una storia debba limitarsi a scriverla, oppure a filmarla, o a portarla su un palcoscenico. Non bisogna spiegarla, se è possibile, o raccontarla con altre parole. Le parole che hai scelto per raccontare sono già lì, nel libro. Non ne servono altre. Non dovrebbero servirne.
Però è anche vero che ciascuno di noi quando legge un romanzo, legge la storia che vuole, e disegna i personaggi secondo le voci che sente. Allora posso dire quello che sento io stesso. In poche parole.
Giulio d’Aprile è uno psicoterapeuta di poco più di quarant’anni, Dario Moretti è uno psichiatra, è stato il suo professore, ha circa settantacinque anni. Il primo ha in cura il secondo. Giulio e l’anziano professore sono i protagonisti di un duello. Il primo è il pistolero giovane, diciamo così, quello ancora inesperto, il secondo è il vecchio, capace di colpire una monetina a cinquanta metri di distanza. Ma il vecchio è ferito, quindi forse non ce la farà.
Tutta la tessitura del racconto muove da questa ossatura centrale, il vecchio e il giovane, il maestro e l’allievo, e intorno a una necessità presente di una scelta. Sì, forse questa storia parla proprio della scelta. Qualcuno, prima o poi, in questa storia, dovrà prendere una decisione.