Sette anni di felicità – Etgar Keret

Titolo: Sette anni di felicità
Autore: Keret Etgar
Casa Editrice: Feltrinelli
Genere: romanzo-diario
Traduttore: Vincenzo Mantovani
Pagine: 164
Prezzo: 14 euro

Sette anni di felicità è l’ultima fatica, edita da Feltrinelli, dello scrittore israeliano Etgar Keret. Di origini polacche, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, Keret narra come negli ultimi sette anni la sua vita sia cambiata. L’autore, quasi cinquantenne, si racconta nel suo libro più intimo, il primo autobiografico, in cui riesce a trovare il buono anche dove è difficile vederlo. Questa storia speciale, dedicata alla madre e pubblicata nella traduzione di Vincenzo Mantovani, appare prima in Italia che nel suo paese. E’ un viaggio tra emozioni, humor e politica.

Sette anni di felicità è un’opera formata da sette parti (una per anno) e trentasei racconti brevi, ognuno dei quali narra un episodio della vita dell’autore a Tel Aviv, dalla nascita del figlio Lev alla morte del padre. Una vita divisa tra famiglia, attentati, impegni, tassisti irascibili, bombardamenti… Una vita di piccoli aneddoti, più o meno strazianti o divertenti, per la quale è facile provare simpatia. L’unico problema è orientarsi, almeno all’inizio, perchè i racconti non sembrano seguire un filo logico e tutto può diventarne oggetto: un videogioco, uno dei tanti allarmi aerei, uno scontro verbale con un tassista indisponente, la storia della sorella ultraortodossa e dei suoi undici figli, i dialoghi con il piccolo Lev..

La narrazione si apre con un allarme missilistico nel momento della nascita del figlio. È il tema del primo racconto. Il libro si chiude con il racconto di un altro allarme. Nel mezzo un periodo della sua  vita,  tracciato quasi con leggerezza, nonostante l’autore abbia avuto molti problemi tra cui la malattia e la morte del padre. Sette anni di felicità mette a nudo momenti privati e molto intimi con una buona dose di ironia ed umorismo: “il metodo Keret” per documentare le tragedie familiari. Come non riconoscergli una grande abilità nell’ ironizzare su ogni evento della vita cercando di trarre, anche dai momenti peggiori, qualcosa per cui esser contento di stare al mondo? Leggendo queste pagine si ha l’impressione che la scrittura sia stata utilizzata con valenza terapeutica. Quando non si ha alcun potere contro certi fatti della vita è proprio attraverso l’ironia che questi si possono canzonare permettendo a chi li vive di estraniarsi da essi. Pertanto, consegnandoci un resoconto divertente Keret si presenta ai lettori come uno scrittore innamorato della vita pur vivendo in un paese stressato dalla guerra.

Alcuni punti fermi sanciscono la riuscita del libro: qualità e cura della scrittura; l’uso dell’ironia con accenti commossi e malinconici; la capacità di sintesi, perché condensare sette anni in poco più di 150 pagine non è da tutti; l’abilità di trovare in ogni male un aspetto positivo; raccontare con grande disinvoltura i terribili avvenimenti politici che accadono in Israele.

Comico e drammatico convivono: si ride leggendo questo libro, ma ci si commuove anche, ci si affeziona ad ogni personaggio e soprattutto si riflette. E per invitarvi alla lettura nulla  di meglio delle parole del suo autore: “Per le prossime 200 pagine, dividerete la carrozza del treno con me. E quando arriverete all’ultima pagina io scenderò alla mia fermata e probabilmente non ci incontreremo mai più. Spero che qualcosa di questo viaggio, durato 7 anni e che comincia con la nascita di mio figlio e finisce con la morte di mio padre, tocchi anche voi”.

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