Domenica 15 Maggio, al Salone Internazionale del Liro di Torino, abbiamo assistito ad un vivace dibattito ,moderato dallo storico Walter Barberis, sul tema del processo a Gesù. Augias ha scritto nel 2015 un libro dal titolo “Le ultime 18 ore di Gesù” che ha lo scopo di storicizzare un fatto spesso raccontato da fonti che non volevano fare cronaca, ma piuttosto dare risalto ad una parte, mentre quest’anno Aldo Schiavone con il libro “Pilato : Un enigma tra storia e memoria” si sofferma sulla ricostruzione del funzionario romano che si trovò a giudicare Gesù.
I due libri, accostati assieme per motivi tematici, temporali ed anche per essere stati pubblicati dalla stessa casa editrice, hanno permesso un’ampia riflessione storica su fatti che spesso sono visti con l’occhio parziale dell’apologia cristiana. Il moderatore dell’incontro ha introdotto l’argomento mettendo in evidenza le due figure cardini della passione di Cristo.
Gesù dopo gli eventi tragici del processo e della morte è diventato il centro di una religione mondiale, gli sono stati dedicati in seguito film, libri e musical di successo. Pilato invece subito dopo il processo emerge come una figura pavida, ma per lo più arrogante e sinistra. Il suo lato sinistro e malvagio ha fatto emergere molti aneddoti. Tra queste la leggenda della sua fine ingloriosa. La mancanza di una tomba, insieme a fonti contraddittorie hanno rafforzato alcune dicerie sulla sua morte. L’Imperatore Tiberio, secondo una fonte del XVI, avrebbe messo Ponzio Pilato in catene come punizione per aver giudicato il Cristo, e che egli si fosse poi suicidato. Il corpo venne gettato nel Tevere, ma il fiume lo rigettò causando grandi inondazioni. In seguito il cadavere fu ripescato e buttato nel Rodano, ma l’anima del condannato continuò a errare. In seguito si decise di gettare Ponzio Pilato nell’isolato laghetto dell’Oberalp. Durante il processo ad Adolf Eichmann il funzionario tedesco si difese dai suoi crimini dicendo che “come Pilato ho obbedito agli ordini dei miei superiori”
Gli storici ammettono di sapere pochissimo sul processo di Gesù, le fonti infatti sono poche e lacunose. I quattro evangelisti non compiono un opera di cronaca storica, ma una vera apologia per dare voce al loro fondatore inoltre scrivono molti decenni dopo i fatti in questione.
Il motivo cardine del processo si trova nella non accettazione da parte delle autorità religiose ebraiche e romane del messaggio rivoluzionario di Gesù. Vi sono dei precisi momenti della predicazione che hanno urtato profondamente l’alta società ebraica dal discorso della Montagna,in cui per la prima volta viene data rilevanza agli ultimi (schiavi, poveri, malati) alla cacciata dei mercanti del tempio con la promessa di distruggere il tempio di Gerusalemme e ricostruirlo in tre giorni. La congiura di una parte dell’aristocrazia ebraica aveva bisogno del potere romano per condannare a morte Gesù. Gli Ebrei non avevano, in quanto sudditi di Roma, l’autorità di punire a morte nessuno. Pilato aveva la forza politica e militare, ma non voleva urtare il clero ebraico con cui s’era già scontrato in precedenza in merito alla costruzione, con fondi del tempio di Gerusalemme, di un acquedotto intorno a Gerusalemme.
Il funzionario romano aveva bisogno di una accusa politica per processare e condannare il profeta ebraico, l’occasione gli fu fornita dall’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Il massimo trionfo fu per Gesù l’inizio della sua fine, infatti le folle lo osannavano come maestro, profeta, ma molti l’indicavano come “Re dei Giudei”. L’essersi proclamato re per Roma era un vero atto di tradimento contro Cesare e l’impero. In questo modo si salda l’accusa religiosa, per gli ebrei (popolo fortemente monoteista) d’essersi proclamato “Figlio di Dio” e quella politica poiché avrebbe potuto, per i romani essere il centro di una rivolta politica.
Gesù non aveva una strategia difensiva, sapeva che la sua predicazione stava finendo e che le forze contro di lui erano troppo forte, ma volle usare questo processo per affermare, davanti al rappresentante del potere politico alcune sue verità. Gesù conclude la sua predicazione con frasi significative e potenti ” Io sono la via, la verità e la vita …” ed inoltre alla domanda di Pilato “Tu sei re'”, Gesu afferma d’esserlo, ma non di questo mondo “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”.
Infine i due scrittori ci fanno riflettere due frasi del Vangelo di Matteo “Tutto il popolo (ebraico) esclamò: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (Matteo 27,25) e quella che avrebbe invece avrebbe pronunciato Pilato “Non sono responsabile di questo sangue». Matteo non scrive un saggio storico, non esisteva infatti un resoconto del processo, ma scrivendo molti anni dopo a comunità cristiane romane vuole mettere da parte la responsabilità romana, ma colpevolizzare l’intero popolo ebraico.