Ho appena compiuto trent’anni. Se a Guido Gozzano, nato nel 1883, facevano effetto già i venticinque («Venticinqu’anni!… Sono vecchio, sono vecchio!»), a chi è nato giusto cent’anni dopo, nonostante i diversi concetti di giovinezza, la trentina qualche ansia può darla. Senza scomodare Ingeborg Bachmann e la sua riflessione sul trentesimo anno come definitivo passaggio alla maturità, arrivati qui c’è senz’altro materia per un bilancio. Quante cose avrebbero già elencato, interrogati sui loro trent’anni, Benedetto Croce o Giuseppe Prezzolini? E Alberto Moravia, già autore – intorno ai venti – degli Indifferenti? E Rita Levi Montalcini, che in laboratori di fortuna studiava embrioni di pollo mentre infuriava la guerra? Altri tempi? Forse. Ma che un trentenne di questi anni – non sempre per colpa sua – possa essere ancora sul punto di affacciarsi sulla vita lavorativa, è ingiusto e avvilente. A trent’anni Enrico Fermi organizzava un congresso internazionale di fisica nucleare: tra i partecipanti, Marie Curie e Wolfgang Pauli – trentenne anche lui – che per la prima volta parlò di neutrini. Il trentenne Ungaretti è quello di Allegria di naufragi. Basta così.
Trent’anni non sono pochi per una persona, non sono pochi per un Paese. Il paesaggio italiano dal 1983 a oggi – su un piano politico e civile – non è esaltante. Un Mario Monti quarantenne partecipava, nel maggio ’83, a un forum organizzato da «Repubblica» intitolato «L’Italia è malata, curiamola così». Siamo sempre allo stesso punto? Giorgio Bocca lavorava a inchieste (allarmanti e, su un piano giornalistico, bellissime) su collusione tra mafia e politica. A luglio era stato assassinato Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione di Palermo. In trent’anni si sono dati il cambio venti governi. Il nostro debito pubblico nel 1983 – governo Craxi – ammontava a 600 miliardi di euro; oggi è stimato sopra ai 2000 miliardi. Tutto qui? Dobbiamo limitarci a un inventario negativo, guardarci indietro come l’Angelo di Benjamin, registrando solo rovine? Dobbiamo pensare che un trentennio ci abbia consegnato soltanto malaffare, corruzione, cattiva politica, vittime delle mafie? E se invece provassimo a setacciare il trentennio che abbiamo alle spalle in cerca di perle italiane da portare con noi verso il futuro? Se le cercassimo, come si fa in questo blog, in quel vasto campo chiamato «cultura»?
I primi anni Ottanta ci hanno lasciato in eredità l’ultimo libro di Italo Calvino, Palomar, e le sue Lezioni americane, lette e studiate in tutto il mondo. Carlo Rubbia, nel 1983, scopre la particella Z-zero. Dal 1985 scavi archeologici guidati da Andrea Carandini portano alla luce un vasto quartiere di Roma antica sul colle Palatino. Rita Levi Montalcini ottiene il Nobel per la Medicina nel 1986. Nel 1988 Giuseppe Tornatore arriva all’Oscar con Nuovo Cinema Paradiso. Se provassimo a comporre una contro-cronologia italiana di questi ultimi trent’anni fondata solo su piccoli e grandi fatti di rilievo culturale? Non sarebbe una bella reazione al disincanto e alla cupezza di questo periodo? Non sarebbe il giusto segnale di reazione a discorsi politici che, sul piano della cultura, sono imprecisi, opachi, quando non latitanti?
Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Nel 2003 entra in finale al Premio Campiello Giovani e, con i racconti Nuovi cieli, nuove carte, al Premio Italo Calvino. È autore tra l’altro di “Ogni viaggio è un romanzo” (2007) e di “Raccontami la notte in cui sono nato” (2008). Per Feltrinelli ha pubblicato “Dove eravate tutti” (2011, Premio Mondello e Premio Vittorini) e, nella collana digitale Zoom, “La miracolosa stranezza di essere vivi” (2012).