L’ElzeMìro – Mille+infinito- La nuova tessitrice ovvero prognosi e presagi-Parte seconda-La quinta ou a quinta

AC s’incamminò lemme lemme lungo la via Maistra… donabbondio donabbondio, sappiamo che pensava di sé medesimo lungo quella via, soltanto mi manca il breviario ah no il breviario è il continuo pensare a una musica, orazioni, pensava tra sé… camminatore lui, AC, alla pari se non migliore del signor Sommer, quello del racconto per lo meno, assodato il fatto che di Sommer, signori e signore, ne esistono un po’ da tutte le parti e di tutte le età, non per supposto con gli stessi motivi interiori a spingerli lungo strade e sentieri, palazzi e rovine romane, confini ineluttabili, precipizi o sprofondi oceanici, maelstrom ; poi a sinistra, dopo il breve tratto in salita della via Ruinatsch quasi subito a destra, dove tra case ormai rade, AC perse l’asfalto e guadagnò un sentiero nel bosco che qua e là sfiorava la vecchia strada cantonale, quella di prima che costruissero la nuova, l’attuale a valle del paese. Procedeva lui con un cautela commisurata alla punta di artrosi al ginocchio destro che a volte, in discesa, gli faceva male. Scendeva verso la sua casa di via Lavinas sul pendio nord di Celerina, il paese a est di Sankt Moritz, distante un poco o poco a seconda, in ogni modo für ihn ein Leichtes, a voler citare Rilke, per lui una cosetta, una passeggiata capace di farla anche due volte al giorno, assaporando ogni volta l’odore diverso dell’aria, ora acuto come un ago di pino, ora molle, di foglia flottante in uno stagno ; e le luci – prediligeva quelle di tempesta, di pioggia, un Kaspar Friedrich insomma cui pareva sospetto il sereno – gli incomprensibili discorsi degli uccelli ma così simili al canto senza parole degli strumenti inventati dagli umani, l’indubitabile bellezza dei fogliami, la variabile abbondanza dei fiori, così belli e così saldi nell’attesa della morte ; chissà, pensava però ogni volta, chissà come e se avrebbero meditato queste meditazioni e apprezzato tutta quest’imponenza del bello una pastora o una lattaia di Segantini, costrette a viverci in questo bello, senz’acqua calda, un gabbiotto nel campo per gabinetto con un buco di terra lercia a mezzo, e il rito duro e quotidiano delle levatacce per lavorare lavorare e lavorare e soltanto per il meschino guadagno di sopravvivere fino alla morte ; le benedette e benefiche lotte sociali e la tecnica enciclopedica avevano sottratto un po’ di plusvalori alle dominanze egemoni e prodotto l’interno lordo di una borghesia diffusa quanto incerta, gobba e goffa nel non riconoscersi in quella stessa società da essa e per essa creata ; nonché un aerosol di nuovi privilegiati : se musicisti come un suo prozio, cellista e noto virtuoso, nemmeno cento anni prima avrebbero suonato a corte di qualche duchessa ma mangiato in cucina, di sicuro con maggior godimento, con le cameriere, ora lui era ammirato e corteggiato come una duchessa, al cui tavolo, ora, gli era consentito cenare in un ristorante stellare perché la duchessa aveva intuito che così va il mondo e vabbè, è un musicista, avrebbe pensato lo stesso la duchessa, ma dicono sia una brava persona questo questo come si chiama… privilegiato era e va detto a suo onore che non si nascondeva ; sfuggiva alla timida vergogna di questa coscienza e al dolore che gli procurava la consapevolezza ulteriore della miseria e della brutalità intorno a lui, impiegando grandi somme e intelligenza nell’aiuto alle più diverse cause e associazioni benefiche, nonché alla promozione di giovani musicisti ; un benemerito, alla stregua dei carabinieri. Arrivò a casa sua, una chesa per niente vistosa nello stile di lì intorno, intonata al gusto prevalente di quella valle dal 1500 in avanti. Anzi la sua chesa – forse desterà stupore il fatto che la pronuncia locale è césa – era proprio del 1500 quindi si può dire che l’avesse riscattata alla rovina, abbandonata com’era, facendoci eseguire diversi lavori di ripristino. Per il resto non è utile descriverla ma no, non aveva gerani alle finestre. Prima di cena avrebbe riguardato al pianoforte alcune parti della quinta sinfonia. Non che ci fosse fretta e l’aveva a mente da così tanto tempo, mancavano quanto, poco meno di sei mesi alle prove, ma in ogni modo lui era studioso, puntiglioso, un poliziotto mai contento, per natura e per esperienza assuefatto alla nozione di continua perfettibilità del risultato. Da qualche tempo, e in quella sera in particolare, la quinta si srotolava nella sua memoria, sottile più di un sensore di movimento, e a ogni svolta, quella, come dirla altrimenti, quella matassa gli appariva sempre, ancora più densa e inestricabile di tutte le volte precedenti. Più degli interrogativi che ponevano la tromba in si bemolle dell’inizio – detestava sinceramente l’immagine della cornetta superstite su una montagna di cadaveri dopo la battaglia evocata da Adorno, gli pareva di ricordare ; in ogni modo non gli piaceva associare alla musica la concretezza delle immagini, per quanto di fantasia – o le difficoltà che ponevano il Ländler e il finale, dell’adagietto lo questionava l’arpa ; che fare… affinché, disse a sé stesso quasi sghignazzando, non ricordasse a tutti l’inizio di quel film di Visconti che detestava, ahi morte a venezia facciamo fuori venezia, i ponti e i sospiri, e, per quanto non avesse mai chiarito che cosa volesse dire etero o omo o bisessuale, sì a suo tempo era stato con appetito discontinuo e spesso infastidito, sessuale, e forse lo era ancora in qualche corpo cavernoso della sua mente ; da giovane aveva persino avuto una, con modesta perifrasi, una serata intensa tra le braccia di un bel ragazzo ma siccome entrambi detestavano le penetrazioni tutto alla fine dei fiori si era svolto in modo piacevole però, il genere cui sapeva per certo di appartenere era solo quello di musicista e mai, mai mai mai, avrebbe pensato di morire lui a Venezia e con i baffi tinti da un parrucchiere equivoco… che fare con l’arpa, così che risaltasse la dialettica con gli archi ; l’arpa ha un suono astratto dalla materia che lo produce e dalle dita che ci si sperdono più del sangue ma, mah ; bah. L’adagietto culmina e si esaurisce nel glissando degli archi al numero 3. Il glissando è tutto e da lì il tappeto di Mahler si riannoda. La questione stava tutta nel riuscire a far interrogare il pubblico, non ad emozionarlo di quell’emozione che rendeva, aveva scritto giusto Mann nella Montagna magica, che rendeva politicamente sospetta la musica. Sospetta cioè per rapporto al reale, alle dialettiche del quotidiano, al politico dall’agorà. Poi, nulla di una partitura gli era mai sembrato facile a suonarsi e in generale si può dire che, alla lontana e con una idea, se si vuole con un’intuizione càtara, aveva sempre trovato che ci fosse del diabolico, che ogni tessitura musicale, contenesse o fosse del tutto un trillo del diavolo ; e, giusto per citare uno di ponderata facilità, che anche Boccherini non fosse altro che un incolpevole bouc émissaire, capro emissario di un demòne. Le grandi cattedrali, da quella di Santa Maria di Belém a Lisbona, opera che prediligeva perché, al contrario di quelle francesi, nel suo modo di vederle, lì ci si spingeva oltre, oltre tutto, con compostezza ma oltre là, da un’altra parte, là dove il delirio ingegneristico di Gaudì incontrava le estasi di Santa Teresa o, con grazia maggiore il sublime del pudim das clarissas ; che il lettore non si azzardi a scambiarlo per crème caramel. Di quella cattedrale ricordava l’impressione di leggerezza impossibile delle rade e così sottili colonne, elevate con limite tendente alla vertigine dell’infinito… ma persino il duomo panettone di Milano era un aeroplano in volo dentro un banco di nubi, a voler guardare… sappiamo che più di una volta si era fatto questa immaginazione che fosse un assembramento di elementi per comporre il quale lui non riusciva a non domandarsi con quale agghiacciante tipo di mezzi intellettuali, se non quelli di un angelo caduto sì ma senza perdere il bene di un intelletto divino, con quali mezzi dei mortali avessero avuto il modo di organizzarne l’assemblaggio, dopo averne partorito il disegno. La questione estetica per questo motivo era secondaria, secondo lui, a quella combinatoria. Ah la quinta di Mahler : ogni volta guardare le pagine architettate dal compositore gli provocava… ora è facile scegliere vertigine come parola passepartout per rendere l’idea senza che possa precisare il confine dello spaesamento, la sensazione di niente balaustra a proteggerti e, peggio, di una balaustra così bassa e tale che un solo passo avventato oltre e niente più terra, ma Sommersommersommer, che lui provava ogni volta ; e possiamo dirla questa parola, quando gli sembrava che l’orchestra suonando lievitasse e levitasse come un abbagliante leviatano mentre lui stava fermo sul podio e soccombeva al grandioso, continuando a fare la mossa ; sentiva così il suo ruolo in concerto, un po’ bambolotto meccanico, un po’ attore, molto bravo senza dubbio, ma messo in scena per dare al pubblico l’illusione che l’orchestra gli obbedisse, quando sapeva, lui non il pubblico, che con l’ultimo minuto di prova il suo compito era belle che finito : l’orchestra, anche lì per virtù diabolica, ormai sapeva : gli archetti si inclinavano col grado esatto e comune sulle corde, le dita scorrevano, saltavano sui tasti all’unisono ; si sentiva l’orchestra, nessun bisogno di orecchie, e suonava suonava più del più perfetto, secondo lui, dei calcolatori quantici ; qualunque cosa potesse voler dire calcolatore quantico. Ora uno può usare la parola vertigine o altre, per convenzione ma le parole usate a questa maniera, rimandano appunto a qualcosa di convenzionale, per intenderci al sentimento del turista… ohu yes we have something similarrrr in Càliforrnia… che sfocia, flìppete flàppete, in una qualsiasi delle piazze europee, da Cracovia a Lisbona, ma che non fa comunione con l’opera benché mastichi di continuo la particola della propria cevinghgum ; sfiora e calpesta beato e però, come la vecchia principessa in carrozzina all’esposizione universale di Parigi del Lampedusa, non vede niente e se ne impipa di tutto che non entri nel formato cartolina della sua mente ; materia grigia, di nome e di fatto e in tutto corrispondente a quella del suo telefonino. Il resto è ristorante. 

Come ogni sera AC si coricò presto. Avrebbe dovuto alzarsi all’alba, presto si capirà il motivo, ma lo stesso avrebbe letto qualche riga prima di scivolare nel sonno anestetico che era proprio alle sue notti solitarie. Riaprì tuttavia il volume degli Enterrements di Carmilla Rosìni. A caso, scegliendo da questa o quella pagina la parola o la linea che colpisse la sua capacità di associazione libera ; vai a capire i legami misteriosi che la mente, piùcheperfetta Penelope, annoda in associazioni ritenute quasi sempre, poi, incomprensibili dalla imbelle attitudine della coscienza e dalla sottomissione della ragione alla logica : queste due signorine malmaritate e sterili, non sapendo partorire, che cosa vuol dire che cosa vuol dire, chiedono di tutto e ne danno di risposte, le malmaritate, oh se ne danno, fino a dannarsi pur di spiegare e avvilire tutto al  lavoro dei loro villi cerebrali. Fu catturato dalla parola céline e lesse

Céline, vous savez mon époux, fut

Un grand médecin de toute façon,

Quand il en eût tiré tout son pus

De la vie il n’en restait qu’un son,

Boule creuse et essoufflée

– Vous voyez ça demoiselle –

Ça reste le bal mûr

La musique bien sûr

La danse voilà des hirondelles

Moi je veux la danser

Jusqu’à en crever.

C’est ce que Céline acheva,

Mourir est essentiel fatras.

La mort est un son,

À chacun son canon,

Moi, dance et plaisance,

Lyrique, bal rigodon,

Mou trémail de silence.

Gli occhi presero a vorticargli tra le parole, la sua mente a percorrere le linee su un ottovolante di pensieri in formazione… si avviluppò nelle sue abituali mille coperte come in una mantiglia infinita. E si addormentò.

Fine della seconda parte

Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

Ti potrebbero interessare...

Per continuare a navigare su questo sito, accetta l'informativa sui cookies maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi