L’ElzeMìro – Mille+infinito-I negromanti

Gli esseri umani, un po’ che a guardarli con attenzione hmm, un po’, perché un po’ tanto prevedibili quanto imprevedibili, sicché, starne alla larga alquanto. Moral : hai sempre saputo bene che non stai bene tra le persone, tranne le rare che con sforzo non poco hanno ottenuto il privilegio di quel titolo ; che le trovi orribili le normali, che le vedi e capisci che normali sono ma nel loro campo, a bordo di una Narrenschiff, la nave dei folli di Bosch. Che ti inquietano di un’inquietudine irragionata ma non irragionevole. Guàrdateli allo specchio, e i pazzi, i più agitati e forsennati che potresti vedere, oh Mensch, sono quei lì, i Narcissus’ narcottici. La maggior parte assassini mascherati. Con sempre il colpo in canna, sempre, sempre sempre sempre. Demoni reattivi. Mai amarli, la dzénte sempre presente, le vicine di casa pronte all’attacco per un po’ d’acqua tracimata dalle tue piante. Piantagrane. Bisogna convivere con l’ingombro di sé stessi. E con l’ingombro della metafora, di simboli, e allegorie per cui ora sì ora no ci costruiamo e cerchiamo di tenere una rotta tra le mangrovie o gli iceberg del quotidiano. E la notte, la notte è un luogo letterario dei più appetitosi, oh Nacht schöne Nacht heilige Nacht das Lied der Nacht gute Nacht Hymnen an die Nacht ; notte e giorno faticar but, la notte, dammi retta a me, la notte è un errore pensarla come un perdurante perturbante tra le parentesi quadre, o graffe e tonde della sera e dell’alba. La notte è un sudario che trasuda perpetuità che, steso rimane, non dura affatto una sola notte. Ecco una gran bella metafora. È nella metafora che compaiono i negromanti. Necromanti. Te li chiamo così qui per evocare un nome tonitruànte, che risuoni insomma dalle caverne di tutta una letteratura che… sì. Allora, alla lettera, il necro, il morto malaccorto, che manta la sua manteía cioè che se la straparla, è risaputo. Prendi Odisseo che evoca gli inferi, l’Enea che vi discende, per catàbasi ay la bella parola, e su su per gli specula speculorum, fino a quel duo alchemico Dee & Kelly, che presero, di notte certo tra lapidi e sepolture, a richiamare angeli : è tutto un costeggiare i valichi della morte, a corteggiarne gli epifenòmeni per acquisire almeno un po’ del di essa potere – appunti vedrete che serviranno giustappunto a qualche cinematografico per imbastirci su una storia di psicolàlisi – e imparàrne un po’ di neolinguo, di glossopoiea. Dal secolo XV al XIX, dai prova a non leggere ics vì  né ics ì ics. In ogni modo sta per 15esimo e 19esimo. Punto. Allora rifletti su quanto il cadavere ha inzigato le fantasie. Il morto, che morto torna e che parla o se ne va su per le antiche scale. Il vivo che scende e scende più giù di laggiù. Il crocifisso che continua a crocifiggersi tra l’entusiasmo dei fedeli. I negromanti sono estremi officianti inufficiosi, ma in sostanza non fanno nulla di differente dai presti preti ad ogni santa – a titolo di igiene e profilassi – messa. Funebre per definizione.

I negromanti esistono, cioè sussistono, esci in strada e dopo un po’ e altrettanto esercizio te ne accorgi, dopo mezzanotte e di preferenza intorno alle tre, l’ora degli infarti, quando la città è un silenziario che a te può pure sembrare finalmente il bello della città, quando le coronarie si stracciano e sanguinano. Ne cogli le ombre dei negromanti, più di preciso sono d’ombra i negromanti, non si può dire che siano vestiti se non di ombra. Neri nìvuri ma palpabili, dico se hai il fegato di avvicinarti. Viaggiano, ché il loro camminare è tutto da indagare, e perlomeno in coppia. A volte in trio, altre in quartetto. Li vedi scivolare lesti e lievi lungo i muri delle case, dei viventi ; pei cimiteri lo sai, hanno un interesse parziale, contribuiscono a crearli o addirittura alimentano quelli già in servizio. I negromanti sanno benissimo da dove attingere dati e dove spargerli. Insetti che raccolgono e insetti che seminano. Il loro è un moto d’onda. Per certi versi sono belli da vedere. Sbucano dalle cantonate, da dove tu mai avresti immaginato né poco prima avresti detto, compaiono, sfilano e si infilano magari per un andito ancora più oscuro di quello da cui sono appena sbucati, come bucando il blunotte intorno. Non si sa come passano i portoni, questo è uno spettacolo che ti raccomando. Eccoli che arrivano, a volte si radunano con un’altra coppia, un trio così da formare un drappello nero ; attendono guardandosi intorno ; tra le loro teste mascherate nei modi più consueti, prevalgono la testa di lupo, la gargouille, o le maschere da carnevale veneziano –attenzione tutto questo sembra, non è detto che sia un fatto – tra le loro teste sorge e si agita un confabulare soave : una sorta di grammelot, neolinguo, un rabàrbaro barbaràrbaro rababàrba rororò. Succede allora, sempre per effetto di un non si sa come, che passino il portone o il portico al riparo del quale si sono fermati, ma basta la luce di servizio degli androni, a sensore di prossimità e che tuttavia si attiva al loro passaggio e non mi farmi dire per miracolo, a far sì che sbiadiscano in poco tempo, che passino dal colore dell’ombra al diafano delle meduse chiare nel chiaro dell’acqua. Che cosa vadano a fare allora nelle case, questa è una questione cui è difficile dare una risposta. Si può dire che salgano per le scale, non ce li vedo a prendere l’ascensore, e su, ora in un appartamento ora in un altro, con un metodo simile a quello adottato giorno dopo giorno dalla visitatrice occulta – la signora senza preferenze di chiaro o di scuro, di ora o di secondo, lei – visitano le persone anche i negromanti. Lì per lì non pare operino malefici o artifici o condomblé, tali per cui la persone, o addirittura un intero gruppo familiare e no, sian prese da stranguglioni nel sonno profondo, rem o ram che sia, o assumano ognuno le contorsioni di un demonio sull’orlo del coming out. No no. I negromanti lavorano nel sottile, nuvolosi come sono, del tutto simili o, per dire con maggiore eleganza, coerenti con la voluttà dei respiri negli addormentati. Poi, se hai un po’ di pazienza e se non ti fai pigliare dalla frenesia di chiamare chissà aiuto, la polizia – del resto che ci potresti raccontare che hai visto delle ombre ; fai il piacere di non prenderti sul serio – se hai un po’ di pazienza li vedi riapparire, giù fuori dal portone, li vedi che magari svolano verso di te, se per caso ti sei fatto notare – ma evita e assicurati di essere occulto persino a te stesso – o se così ti pare. Li vedrai insomma passare via per la via. Potresti seguirli, o addirittura inseguirli ma è un fatto che se ci provi ti accorgerai che, con il tuo, i negromanti accelereranno il loro passo, ammesso che passo si possa definire. Vanno alla bersagliera se vogliono i negromanti, svoltano qua o là, e voilà non ci sono più. Ti lasciano con in testa il confuso sapore dell’allucinazione, del delirio lucido, della svista. Del sogno o di un terrificante déjà vu. Il giorno appresso potresti fare il conteggio dei fatti e dei misfatti.

Pasquale D'Ascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi di questa rivista  sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito

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