L’ElzeMìro – Lettere alla dr.ssa Dedgyakéli*Lettera diciottesima, 10 maggio, il Controverso

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                                                          George C. Tooker (1920-2011) Un ballo en Maschera,1983, litografia, RoGallery

L’adulto in mancanza di un preciso talento nel farsi padre di sé adora il paternalismo, sicché sa duturessa, me piccino m’avessero chiesto, non da coglioni a mente seria, che cosa vuoi fare da grande, e avessi avuto me ma un po’ de quel ch’el se ciàme0 invece di quei bronci imbronciati dei bimbi che ancora non sanno di non doversi votare né ad alcun santo né a padriterni, anzi evitarne le rotte, niente vie di damasco, niente brulotti improvvisati in piazze monte sinai, avrei risposto, sì, farei il Controverso.

Ah che bel mestiere stare ad osservare dal finestrino aperto, una folata dopo l’altra, misto pioggia il vento, e va’ e va’, Lehmannia Heynemann, una lumaca è atterrata qui sul tavolinetto aperto sotto al finestrino, ivi per ipotesi fiondata dalla corrente; materializzata, prima non c’era poi sì; treno vuoto, c’è posto per le lumache. Disossato avatar, povera la mia lumaca sembrava non sapesse a che antenne votarsi, se si tratta di antenne, o d’occhi, mani o d’orecchie. Insomma per un po’ è stata ferma. Atteggiamento fatalista o prudente, nemmeno sapesse che c’è sempre un ostiato più grande di te che incombe a schiacciarti; il nanosecondo e ka’ putt; ma se immobile fingi la morte… come Colloredo1 a colori, da vagone a vagone passa migrante un’ondata di giovani nullatenenti, enfasi di tette, culi, gambe, piedi, tutta auto-parlante altoparlante; vede il mio centro di interesse, una lumaca, e si frange e si sfrangia ciap ciap in bando ciababattanto. Come dire, la lumaca atterrisce i serpenti. La lumaca teme invece il rumore, o l’ombra, sperimentale, ritrae le antenne a parlarle forte e vicino. Me uguale; tappi di cera ma ottimale difesa dal rumore sarebbe l’omicidio, la strage; sono lumaca però, più di tanto non posso. Se telefonando2 sul sedile accanto se la raccontano a tutti di cistiti, vagine, meati ostruiti, vorrei ma avere un dissuasore magico che confondesse la magia delle onde radio, halt, szzzzzz, marmellata di marconi, for ever jammed. Forse esiste già, occuparsene, alla prima occasione. Il rumore è il moderno; contadini silenzio, canti talvolta. Offerta alla lumaca una qualche briciola di insalata dal mio pane e formaggio, ahióhi gradito. Alla prossima fermata me con lei scenderò a deporla nel primo giardinetto appartato. La pioggia domina il cielo fino dove arriva la vista dal finestrino; sincero come una strega, me la tempesta felice mi fa. Jardinos asílos, esuli esili, attendono. Forse.

Schermata 2017-05-09 alle 10.57.25

* cfr. https://wp.me/p1nPRU-15a

0 di quel che si chiama/i; il carattere; la locuzione potrebbe essere veneta ma è dubbia. 

1 cfr. Alessandro Manzoni – I Promessi Sposi cap. XXX 

2  cfr.  https://www.youtube.com/watch?v=pTJSn8Mijbw

BA 10

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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