Bagno di folla al Salone del Libro di Torino per la rockstar Piero Pelù, ospite nella giornata di venerdì di un incontro a cura di Zanichelli Editore, che gli ha consegnato una targa come riconoscimento per trent’anni di carriera durante i quali Pelù ha segnato “la via italiana al rock”.
All’incontro, condotto da Enzo Gentile, durante il quale è stato presentato il dizionario del pop-rock Zanichelli 2014, hanno preso parte anche Mauro Pagani, che ha conteso la scena a Pelù in termini di ovazioni, e Alberto Tonti (autore del dizionario insieme a Gentile), mentre non è potuto intervenire l’annunciato Dj Ringo: Bookstock Arena gremita, posti a sedere presto esauriti con molte persone in piedi ad ascoltare il giudice di “The Voice”, pubblico variegato ma composto in larga parte da giovani e giovanissimi.
Occhiali da sole e giacca di pelle che presto viene tolta per mostrare l’immancabile canotta nera e i numerosi tatuaggi esaltando i presenti, accolto da applausi scroscianti come se avesse fatto la sua comparsa sul palcoscenico di uno dei suoi concerti, Pelù esordisce ringraziando per un invito accettato con gratitudine e piacere già da molti mesi. “Sono contento di essere qui, perché il linguaggio della musica e quello della scrittura, che ho sperimentato personalmente con due biografie, nonostante le tecniche diverse hanno molte similitudini. Quando scrivo parto sempre dalla mia esperienza personale, perché è la cosa più onesta che posso mettere sul piatto”. Secondo Mauro Pagani tutto nasce sempre da un bisogno di raccontare, ma per imaparare a farlo bisogna imparare a guardare: “leggete libri, guardate film, siate disposti a capovolgere il vostro punto di vista e a calarvi nei panni degli altri. Ma soprattutto girate sempre con carta e penna e prendete appunti, perché la maggior parte delle cose buone che si pensano poi si dimenticano”.
La risposta alla classica domanda sulle influenze artistiche rivela per Pelù un pot-pourri di riferimenti, da “Vengo anch’io no tu no” di Jannacci e Dario Fo alle fiabe sonore nell’età infantile, mentre l’adolescenza è segnata dagli album “Revolver” dei Beatles e “Paranoid” dei Black Sabbath, ma anche da “What a wonderful world” sentita spesso insieme al nonno e “Una notte sul Monte Calvo” di Musorgskij.
Pagani, invece, ricorda più i film visti al cinema Sant’Orsola di Chiari “perché in un paesino come quello c’erano solo due cose per passare il tempo, andare al bar come i vecchi o andare al cinema”, e cita “Fronte del porto”, “Gioventù bruciata” e “I ribelli del Rock’n’roll” visto centinaia di volte. Dal punto di vista musicale, invece, racconta di come in radio non passasse musica come oggi e i dischi si compravano attraverso il passaparola, ma poiché in Italia i dischi uscivano con mesi di ritardo ci si riforniva a Lugano, “e dopo c’era questa cosa meravigliosa che oggi non esiste più del rito dell’ascolto del disco tutti insieme: si chiamava un gruppo di amici, ci si trovava a casa di uno, si metteva il disco e si ascoltava in religioso silenzio, dall’inizio alla fine”. Anche perché spesso un disco rappresentava un progetto di ampio respiro, e ogni brano contribuiva a raccontarne la storia: “oggi invece siamo tornati a un sistema basato sul singolo, che viene confezionato secondo certi canoni per essere accettato radiofonicamente, e non si ascolta più un album intero”.
In chiusura Pelù compie una riflessione sui mezzi di comunicazione di massa, che lui chiama provocatoriamente mezzi di distrazione. “Adesso forse è più facile avere visibilità, ma se uno si propone soltanto per avere successo immediato rischia di perdersi e sparire in una marea indistinta; con un percorso di crescita più oculato, invece, è possibile imparare a cogliere più sfumature possibili, e questo arricchisce anche la propria musica”. Pagani, invece, ricorda come la scuola sia la priorità fondamentale in questo momento, perché attraverso la conoscenza si veicola il futuro delle nuove generazioni: ed è per questo che introdurrebbe l’obbligo di un corso di musica in ogni scuola, “perché la musica è il secondo linguaggio che una popolazione utilizza per esprimersi, ed è un linguaggio universale”.