
Data di pubbl.: 2025
Pagine: 288
Prezzo: € 19,00
Chi era Alexe Popova, ammesso che davvero si chiamasse così? Antonella Ossorio, autrice di questo ottimo romanzo tutto al femminile, si è imbattuta, come lei stessa racconta, per caso nella storia della Popova. Vissuta nella città di Samara sulle sponde del Volga a cavallo di due secoli, l’800 e il ‘900, si macchiò dell’uccisione di circa trecento uomini rei di aver abusato delle proprie mogli e sovente dei figli in un’epoca in cui in Russia le donne non avevano neppure diritto a un documento d’identità, fatta salva la trascrizione dei propri dati anagrafici sul passaporto del marito. Erano, in altre parole, proprietà dell’uomo che avevano sposato senza diritto di replica o appello. Della Popova, in realtà, si sa ben poco se non che, accusata da una delle donne che aveva deciso di aiutare e che alla fine aveva rifiutato di avere sulla coscienza la morte del marito violento, finì sotto processo, venne condannata e fucilata. Ma mai, fino alla fine del dibattimento, si dichiarò colpevole sostenendo che, se avesse potuto tornare indietro, si sarebbe comportata esattamente nello stesso modo. Che il suo nome, Alexe – Colei che salva – era anche la sua missione e altro non aveva fatto se non liberare delle ‘sorelle’ e la Santa Madre Russia da inutili ubriaconi, violenti e prevaricatori. Difficile darle torto dopo aver letto il romanzo!
Qui, a narrare la vicenda in prima persona e molti anni dopo i fatti accaduti – siamo nel 1939, alle soglie dell’ultimo conflitto mondiale – è Nadezda Ivanova Sorokina, nata nel villaggio di Gnezdov, ‘oblast di Samara, madre della piccola Elena e moglie di tale Pavel che risulta, a tutti gli effetti, il classico narcisista maligno con l’aggravante dell’ignoranza, della compulsione al gioco d’azzardo e dell’ubriachezza molesta. Nadezda lo ha sposato accecata dall’amore e contro la volontà della famiglia, irretita dalle lusinghe dell’uomo per poi scoprire, a pochi mesi dal matrimonio, in quale calvario si era cacciata. Pavel, dopo essersi inimicato l’intero villaggio, la costringe a fuggire a Samara per salvarsi la pelle. E lì, in quella città sconosciuta dove Nadezda ha perfino paura di uscire di casa e perdersi, le angherie e i pestaggi continuano sotto gli occhi della piccola Elena ormai seienne. Ma Nadezda, sebbene incapace di ribellarsi, ha però la forza di uscire dal suo isolamento ed è proprio nella piazza del mercato che incontra Alexe Popova, un incontro che cambierà radicalmente la sua grama esistenza e, alla fine, la metterà anche di fronte a un terribile dilemma: definire il confine incerto che esiste fra Bene e Male.
Ai capitoli in cui Nadezda racconta la sua avventura ne succedono altri grazie ai quali apprendiamo da quale inferno Alexe Popova è riuscita a fuggire diventando la vendicatrice delle oppresse, una Giulia Tofana russa che liberava le ‘sorelle’ somministrando ai mariti vodka all’arsenico. Una storia, come si diceva all’inizio, tutta al femminile, fatta di complicità, riconoscenza, comprensione profonda, solidarietà e dolore. Ma quel che più sconvolge è rendersi conto come, ancora una volta, i tanti anni che dividono la nostra epoca da quella della Popova non abbiano mutato il comportamento di tanti uomini nei confronti delle loro compagne. Ottima la scrittura, coinvolgente e perfetta nel dare voce a due personaggi indimenticabili.